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Ester: la storia di una donna in carriera
PREMESSA
Questo è un racconto frutto della mia fantasia, ogni riferimento a persone o eventi reali è puramente casuale.Antefatto: la serata che cambiò il destino di Ester
I tacchi sembravano particolarmente scomodi quella sera.
Ester tremava. Era forse più di mezz’ora che aspettava lì in piedi in quel viottolo. Ormai aveva perso la cognizione del tempo. Estrasse il cellulare dalla sua minuscola borsa e guardò l’orario: erano passate le 22 da qualche minuto. Ripose il cellulare nella borsetta e sbuffò. Si chiedeva chi glielo facesse fare di stare lì impalata ad aspettare. La tentazione di scappar via a gambe levate era molto forte. Fuggire via e ricominciare tutto da capo. Ma da cosa voleva fuggire esattamente? La risposta era solo una, e lei la conosceva benissimo.
Ma Ester alla fine rimase lì paralizzata. Almeno fino a che non sentì in lontananza il rumore di un’auto che si avvicinava. Rise di sé mentre i fari dell’auto la costrinsero a chiudere per qualche istante gli occhi. Era davvero così codarda da non riuscire a scappar via? Ma una parte di sé le suggeriva invece che ci voleva molto più coraggio per restare e inoltrarsi in quell’avventura piuttosto che darsela a gambe.
Ester aveva 24 anni e si era laureata da poco. La sua ambizione era quella di proseguire gli studi. Sfortunatamente non apparteneva ad una famiglia benestante ma non aveva diritto ad una borsa di studio o qualcosa di simile, e avrebbe dovuto sborsare una cifra notevole se avesse davvero voluto continuare a studiare. Suo padre era andato via di casa quando lei aveva pochi mesi e di lui non ricordava praticamente nulla, se non la sua totale assenza nella sua vita.I capelli di Ester erano biondi come l’oro. Di solito li portava mossi, più raramente lisci. L’altezza non le mancava, era snella e molto slanciata, aveva gli occhi nocciola ed era fornita di tette e un culetto molto rotondi, tanto da sembrare quasi disegnati.
Il suo cuore prese a battere nervosamente quando la macchina accostò vicino a lei. Aprì lo sportello, si accomodò al lato del passeggero ed allacciò la cintura.
«Sei in ritardo» disse Ester, dando al suo tono di voce più autorità di quanto le appartenesse.
«Belle calze» fu la risposta dell’uomo che era alla guida, i cui pensieri erano rivolti a tutt’altro. Squadrò Ester, studiandola da capo a piedi. La ragazza indossava una minigonna molto corta che metteva in risalto le sue gambe sexy.
Dal canto suo, Ester osservò in modo obliquo il conducente dell’auto: era un uomo di mezza età, molto affascinante e taciturno. Era brizzolato e aveva degli occhi azzurri stupendi, e fisicamente era messo molto bene: non avrebbe avuto nulla da invidiare a un ventenne o un trentenne.
Il tragitto in auto durò circa dieci minuti, dopodiché l’uomo rallentò e infine arrestò la macchina. Erano in una zona molto isolata e poco illuminata, e in lontananza si sentiva solo il frinire dei grilli.«Possiamo cominciare» disse la ragazza. «Calati pure i pantaloni».
Era ben consapevole quanto quell’uomo nella vita reale fosse un uomo molto gentile, ma che sapesse ricoprire fin troppo bene il suo ruolo nella società: era un gran lavoratore, una persona molto intelligente e benestante, sapeva vivere bene e godersi i lussi e i piaceri della vita, ma aveva anche una moglie e dei figli.
Ester conosceva benissimo anche la sua inclinazione sottomessa, e aveva indovinato che gradisse essere dominato da una donna giovane e che desiderasse essere masturbato a piedi nudi o avvolti in delle calze. Gli piaceva anche farsi fare del male a causa di quel suo pizzico di masochismo.
L’uomo obbedì all’ordine di Ester: la sua eccitazione, a giudicare dal rigonfiamento, era notevole. Ester avrebbe potuto soddisfare le sue fantasie, ma tutto quello aveva un prezzo ed anche piuttosto salato.Ester slacciò la cintura e mise una sua gamba su quella di lui, che gemette.
«Secondo me stasera verrai nel giro di pochi secondi» disse Ester, usando una sfacciataggine che non sentiva come propria. Gli premette il suo tacco in una zona molto vicino all’inguine, schiacciando sadicamente per fargli molto male.
«Fai giusto un po’ più piano, per favore» sussurrò l’uomo.
Ma la ragazza non accennò a diminuire la pressione. Piuttosto, prese a premere con più quanta forza avesse.
«Ehi» disse lui, afferrando il piede di Ester tra le mani come per fermarlo.
Si fissarono negli occhi: l’uomo in modo interrogativo, Ester in segno di sfida.
«Non vedevi l’ora di essere sottomesso da una donna molto più giovane di te. Cosa c’è, non fa per te? Lasciami fare, ne rimarrai estasiato. Fidati di me».
Ester sembrava un po’ temere che all’uomo potesse non piacere la cosa. E dal momento in cui aveva deciso di mettere piede in quella macchina, la giovane donna era ben decisa a rendere quell’uomo il suo schiavo.L’uomo dal canto suo rimase interdetto. Osservava le gambe di Ester con immenso desiderio, un desiderio che sembrava andare al di là di un rapporto di dominazione e sottomissione.
«Voglio che mi metti i piedi nudi sulla faccia» disse ansimando. Era l’unica cosa che in quel momento lo avrebbe potuto distogliere dal desiderio di possedere Ester come donna.
«Non ti metterò i piedi nudi sulla faccia» disse Ester, poggiandoglieli però sul cazzo eretto e duro. «Non dovevo essere io a comandare? E stasera voglio penetrarti la carne coi miei tacchi. Voglio farti male, e non era questo che volevi? Che ti facessi male?».
«Vuoi o non vuoi che ti aiuti con gli studi?» chiese l’uomo, che sembrava furente.
Ester arrossì.
«Non ho bisogno dei tuoi soldi. Sei tu che hai bisogno di me» rispose Ester, con la voce incerta. Stava bluffando, e lo sapeva benissimo. Aveva eccome bisogno di soldi. Ma non voleva rendersi debole agli occhi di lui.
Ci fu una pausa di pochi secondi. Il silenzio era rimbombante, ma diceva praticamente tutto.«Credo sia meglio finirla qui. Torniamo a casa» disse infine l’uomo.
«Non voglio che finisca qui» disse Ester, che iniziava ad essere preoccupata. «Non abbiamo neanche ancora iniziato. Ora devi lasciarti traforare dai miei tacchi».
L’uomo per tutta risposta mise in moto la macchina.
«Spegni l’auto» disse subito Ester. «Altrimenti urlerò con quanto fiato ho in gola».
La sfida gliel’aveva lanciata, ora bisognava vedere lui come reagisse alla cosa.
L’uomo guardò verso l’esterno di lungo e in largo: non c’era anima viva, e dubitava ce ne sarebbe stata per un bel pezzo.
«Urla pure quanto vuoi» le disse, «non ti sentirà nessuno».
Ester sorrise e spense l’auto. Il suo era un ghigno alquanto malefico. Stava velocemente rendendosi conto che l’uomo l’avrebbe dovuta temere se avesse voluto ottenere dei risultati.
«Vogliamo provare allora?» disse la ragazza, con quel ghigno sempre stampato sul volto.
L’uomo fissò Ester per qualche secondo, sbattendo ripetutamente le palpebre. Sembrava nervoso. Anche se le possibilità erano le minori possibili, non avrebbe voluto dare l’idea di essere uno stupratore o un rapitore. Non ne valeva la pena di rischiare.
«Ti riaccompagno a casa» ripeté. Si ricompose e fece per rimettere in moto, ma Ester fu più veloce. Afferrò la chiave della macchina, aprì la portiera e la lanciò fuori con violenza, piuttosto lontano.
«Ma sei impazzita!» urlò l’uomo, furente e in preda al panico. «Esci e raccoglile immediatamente!».
«Lo farò» disse Ester, «se tu prima ti fai schiacciare il glande dal mio tacco».
«Sei solo una sciocca ragazzina ribelle» disse l’uomo, guardando Ester come se non l’avesse mai vista prima. La ragazza per tutta risposta gli diede uno schiaffo così forte da spiazzarlo. L’impatto fu molto doloroso, eppure la mano di quella ragazza sembrava così delicata.L’uomo uscì dall’auto e prese a cercare le chiavi, aiutandosi con la torcia del suo cellulare. Fu un’operazione che richiese qualche minuto.
«Accompagnami a casa» disse Ester quando lui fu di ritorno. «Ma prima» aggiunse «devi leccarmi le scarpe».
L’uomo era in estrema difficoltà. Era eccitato forse come non lo era mai stato in vita sua, e sentirsi nelle mani di una ragazza che era apparentemente molto instabile emotivamente aumentava a dismisura la sua voglia di schizzare abbondantemente.
Ester gli avvicinò i piedi al viso, e questo lo riportò con i piedi per terra.
«Una sola leccata per scarpa» disse Ester. «Prima farai, prima ti sarai tolto il pensiero».
L’uomo fissò le scarpe della ragazza. Le suole erano molto sporche. Aveva davvero il desiderio di obbedire ad ogni singolo ordine di quella ragazza?
Il sussulto che ebbe alle parti basse sembrò suggerirgli di sì.
Prese tra le mani i piedi di Ester e avvicinò il viso alla suola della sua scarpa destra. Cacciò fuori la lingua ed era a pochi millimetri dal leccarla, quando Ester ritirò bruscamente i piedi e gli impedì di fare quello che doveva.
«Ma…?» mugolò confusamente l’uomo.
«Non c’è bisogno che lecchi le mie scarpe. Non ora. Era necessario sapere che tu fossi disposto ad obbedire. Ora se vuoi puoi riportarmi a casa» disse Ester, che col passare dei minuti cominciava ad avere sempre più consapevolezza di sé e dei propri mezzi.Il viaggio di ritorno fu molto silenzioso. Ester sembrava in una sorta di trance.
L’uomo accompagnò Ester al punto stabilito, ma lei non si mosse.
«Be’…?» chiese lui.
«I soldi» disse Ester. «Hai dimenticato la cosa più importante».
«Ma non hai detto che non avevi bisogno dei miei soldi?».
«Sì, l’ho detto. Ma ho cambiato idea» ripeté la ragazza, tendendo la mano. «I soldi. Non per il mio corpo. Ma per il mio silenzio. Credi che a tua moglie e ai tuoi figli farebbe piacere sapere che paghi per farti torturare?».
L’uomo, dopo qualche istante di smarrimento, si decise finalmente a darle la grana.
«Molto bene» disse soddisfatta Ester. «Ora» aggiunse, allungando un piede verso di lui, «puoi leccare sotto la scarpa. Anzi, devi. Avrai questo onore».
L’uomo obbedì ciecamente e leccò la suola della scarpa di Ester. Il sapore era disgustoso, e tutta quella polvere gli diede quasi un senso di nausea, che però fu celato dal senso di eccitazione che aveva ricominciato a provare.
Ma in men che non si dica, Ester ritrasse la gamba, lasciando l’uomo imbambolato, in preda ai suoi desideri.
«Molto bravo, mi piace vederti così docile e obbediente» gli disse Ester. «Comunque sappi che non avrei mai rivelato la cosa, è che mi piace vederti tremare dalla paura come un pulcino indifeso. A presto, mio plebeo».
Gli scoccò un bacio sulla guancia e uscì dalla macchina con un sorriso. Dopotutto, avere il potere tra le mani non era così male.Una volta a casa, Ester si stese sul suo letto e prese a fissare il soffitto, quando improvvisamente arrivò una notifica sul suo cellulare.
Sbuffò quando vide che era stata sua suocera ad inviarle il messaggio. Ma dentro di sé sapeva che avrebbe sbuffato chiunque fosse stato.
La madre del suo ragazzo le scriveva per riferirle che l’indomani mattina suo marito sarebbe passato a prenderla per recarsi in ospedale per far visita a Bernardo, il ragazzo di Ester, ricoverato perché quel buono a nulla si era spaccato il muso mentre sciava e doveva fare degli accertamenti.
Ester odiava il suo ragazzo. Non aveva mai avuto con lui particolare feeling caratteriale né sessuale, ma la goccia che aveva fatto traboccare il vaso c’era stata quando la ragazza, con una pressione incessante, era riuscita a fargli ammettere che lui l’aveva tradita con una donna sudamericana.
In realtà ad Ester non fregava nulla.
Lei e Bernardo si sarebbero dovuti sposare entro qualche anno, ma la loro relazione, seppur giovane, era grigia e spenta. Era stata sua madre ad insistere perché si mettesse con Bernardo.
Bernardo aveva 25 anni ed era il cosiddetto “buon partito”, quindi ciò che le interessava era il riscontro economico. Voleva garantire alla figlia un futuro con un marito benestante, ritenendo che lei fosse incapace di lì a breve di intraprendere una qualunque carriera lavorativa. E forse era questo uno dei motivi per cui non aveva intenzione di spendere altri soldi per i suoi studi. Li riteneva soldi buttati.
Ester odiava il suo ragazzo perché lui si voleva far passare per un santarellino quale non era. Ma lei sapeva benissimo che il suo improbabile matrimonio non avrebbe mai garantito loro la soddisfazione sessuale. Questo i genitori di lui non lo sapevano. Credevano che Ester fosse la classica ragazza acqua e sapone, che avrebbe sfornato due o tre figlioletti e che avrebbe badato alla casa con tanto amore e dedizione. E questa era l’ultima cosa che Ester desiderava.
Chissà cosa avrebbe detto Bernardo se l’avesse vista coi piedi sul cazzo di quell’uomo di mezza età.
Ester ridacchiava quando ci pensava.Tre anni dopo
I.
Ne era passato di tempo da quella sera in cui una Ester ancora un po’ timida ma allo stesso tempo ribelle e sfacciata aveva estorto furbamente del denaro all’uomo di mezza età.
Ora di anni ne aveva 27, ed era sempre fidanzata con Bernardo, 28, che tradiva regolarmente alla sua insaputa. Il loro matrimonio era in una perenne “data da destinarsi” e così proseguiva la loro infelice relazione.
Ester era risultata vincitrice di una borsa di studio per il Dottorato di Ricerca in Studi Letterari, Linguistici e Storici presso la sua università e contemporaneamente lavorava per una redazione giornalistica, per cui aveva pubblicato un articolo formidabile sul femminismo e sui diritti delle donne. Aveva anche pubblicato un testo molto interessante, intitolato Chi sono io? Una vittima oppure un mostro?, in cui aveva trattato anche gli aspetti psicologici sulle riflessioni ed esperienze di ricerca sulla violenza di genere, in un mondo dove era l’uomo ad essere la vittima.
Era esperta di storia contemporanea, di antropologia ed etnologia, parlava fluidamente almeno tre lingue oltre alla sua lingua materna e conosceva anche alcuni linguaggi antichi.
Il suo nuovo obiettivo era quello di conseguire il titolo di Dottore di Ricerca ed aveva in mente di discutere una tesi piuttosto controversa sul doppio standard, un concetto applicato a diverse strutture morali, in particolar modo sugli uomini rispetto alle donne e viceversa.
L’idea le era venuta leggendo un romanzo pubblicato negli anni Sessanta dalla scrittrice statunitense Sylvia Plath, La campana di vetro, nella cui protagonista si rivedeva moltissimo.
A differenza del romanzo della Plath, ambientato negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, in piena prosperità postbellica, dove la donna era palesemente vista come un essere subordinato all’uomo e vittima delle convenzioni sociali, il fulcro dell’elaborato di Ester, così come era successo col suo articolo, verteva su una grottesca alterazione del femminismo, laddove erano gli uomini vittime di violenza da parte delle donne, e soprattutto sulla presunta rovina della reputazione del maschio che si trova ad essere vittima di una donna: perché ci si scandalizzava (e giustamente!) se un uomo praticava violenza sulle donne, mentre al tempo stesso poteva ben capitare che l’uomo venisse preso in giro e deriso se denunciava di essere stato menato o maltrattato da una donna?
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