• LA RAGAZZA DI WILLIAMSBURG

    Posted by Schiavolc on Aprile 5, 2023 at 11:07 pm

    Il coraggio di scegliere

    L’idea per questo racconto mi è venuta guardando una serie su Netflix intitolata Unhortodox che parlava di una ragazza ebrea ortodossa che, stanca di vivere nel suo mondo, decide di lasciarlo e di vivere una vita senza quelle restrizioni religiose che avevano contraddistinto la sua vita fino ad allora. Come mi capita sempre leggendo un libro o guardando qualcosa in televisione, ho immaginato quell’ambientazione in versione femdom e l’idea mi attraeva tantissimo ma mi sono trovato in enorme difficoltà perché i rischi erano davvero tantissimi. Bisognava trattare l’argomento con delicatezza senza facili ironie e senza etichettare un popolo in modo stereotipato. Il mio intento era quello di cercare di raccontare una storia e dei personaggi, in particolare la protagonista che combatte tra le sue inquietudini e l’educazione ricevuta ma era ovvio che dovevo scavare a fondo sulle abitudini degli ebrei ortodossi. E per far questo mi sono dovuto informare e documentare a fondo. Ma a me piacciono le sfide e ho confezionato questo racconto del tutto anomalo che sembra tutto tranne una storia a sfondo femdom, almeno fino a quando la protagonista riuscirà a far luce dentro di sé e a comprendere esattamente cosa vuole. Come ho detto, le complicazioni erano tante. Quella forse che mi ha reso più difficile lo svolgimento era il rischio di creare una macchietta. Non era possibile che una fanciulla nata e cresciuta in un ambiente di religiosi ortodossi diventasse di punto in bianco una donna dominante e allora ho dovuto lavorare a fondo sulla psicologia della protagonista. Spero di esserci riuscito. Devo ribadire che non era mia intenzione criticare certi stili di vita ma ho voluto semplicemente tratteggiare una figura femminile complessa e piena di contraddizioni.
    Per chi avrà voglia di seguire attentamente questa storia, potrete leggere forse le scene più belle e più sensuali che io abbia mai descritto. O almeno quelle che sono riuscito a descrivere con più soddisfazione personale. Con una protagonista che vi farà innamorare; bellissima, dolce, sensibile, piena di contraddizioni ma estremamente e dolcemente dominante.
    Colgo anche l’occasione per ringraziare il mio gruppo di lettura. Avevo timore di postare questo racconto per la sua tematica particolare. Sono stati loro a spronarmi a farlo e a darmi consigli su come migliorarlo.
    Un’ultima cosa prima di lasciarvi alla lettura. Non ci saranno le mie solite eroine bravissime nelle arti marziali. Questo racconto non lo richiedeva.

    I nomi dei personaggi sono inventati. Qualunque omonimia è puramente casuale

    Primo episodio

    La giovane dominatrice osservava il suo schiavo intento a baciare i suoi piedi. Come ogni volta, quella situazione la lasciava quasi senza fiato, elettrizzata, eccitata e completamente soddisfatta. Oh, non era il fatto di farsi baciare i piedi che le provocava quello sconquasso ormonale ma il fatto di sentire il potere, di percepirlo quasi con mano. Si sentiva in estasi
    “ Rimettimi le scarpe e vai a prendere il mio frustino” La sua voce era calma ma autoritaria. Non le piaceva alzare la voce e tutti i suoi ordini erano quasi sussurrati. Aveva il pieno controllo della situazione
    “ Subito, Mistress” Lo schiavo, interamente nudo come la sua padrona pretendeva che dovesse essere al suo cospetto, si congedò e tornò dopo pochi secondi. Chinò la testa e consegnò il frustino alla sua padrona che lo fece mettere con le mani al muro. Mentre arrivavano le prime frustate, lo schiavo sorrideva beato. Cosa avrebbe potuto pretendere di più? Anche il dolore, non enorme ma comunque consistente, passava in secondo piano se serviva a soddisfare la sua meravigliosa padrona che osservò il risultato della sua opera. Il fondoschiena del suo schiavo era rosso ma nulla di così grave che una pomata adeguata non avrebbe curato e lo avrebbe fatto lei stessa fra un po’. Era sicura che avrebbe lenito ancor più velocemente quelle lievissime escoriazioni. Lo accarezzò
    “ Tutto bene?”
    “ Sì, Mistress” La giovane donna sorrise
    “ Devo andare in bagno” Lo schiavo la guardò quasi supplicandola con gli occhi e la giovane se ne accorse “Vuoi essere tu a ricevere ciò che ho bisogno di espellere?”
    “ Io… Io ne sarei felice”
    “ E perché lo saresti?”
    “ Perché ricevere una cosa da lei, qualunque cosa, la considero come un dono prezioso. Il dono più prezioso che possa esistere” Ancora una volta la ragazza sorrise soddisfatta. Non era certo la prima volta che donava al suo schiavo la sua urina ma ogni volta era meraviglioso per lei che fosse proprio lui a desiderarla
    “ Mi piace far felice il mio schiavo. Ti accontenterò” L’uomo si mise in ginocchio nuovamente
    “ Grazie Mistress. Grazie infinite” La dominatrice gli indicò il luogo dove si sarebbe dovuto sdraiare e lui si affrettò a obbedirle. La ragazza avanzò verso di lui. La sua tuta di lattice la rendeva in qualche modo ancor più dominante. Per lei era ormai una specie di seconda pelle che indossava quasi sempre in quelle occasioni. Aprì una parte della zip e avvicinò la sua vagina alla bocca dello schiavo iniziando a depositare nella sua bocca ciò che ormai lui considerava come un nettare degli dei. Ancora una volta la dominatrice si beò di quel potere enorme. Respirò a lungo poi mandò lo schiavo a lavarsi.
    Dopo pochi minuti, l’uomo era di nuovo di fronte a lei che schioccò le dita. Lui sapeva cosa doveva fare. Prese una sigaretta e la mise nella rossa bocca della sua giovane padrona per poi accendergliela. Infine, si rimise in ginocchio accanto a lei con la bocca aperta. Le avrebbe fatto da portacenere. I due si guardarono intensamente per alcuni istanti ma lo schiavo non riuscì a sostenere lo sguardo della sua padrona e abbassò gli occhi. Entrambi pensarono che era meraviglioso quello che stavano provando e che mai avrebbero pensato di potersi trovare in quella situazione ma tutti e due sapevano che le vie del Signore erano infinite. E mai come nel loro caso, quella frase era del tutto appropriata a ciò che stavano vivendo.

    Schiavolc replied 1 year, 8 months ago 1 Member · 1 Reply
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  • Schiavolc

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    Aprile 5, 2023 at 11:08 pm

    Secondo episodio

    UN ANNO PRIMA

    Ruth Berkowitz stava preparando la cena dello shabbat insieme a sua madre Esther. Cena che naturalmente doveva essere preparata il venerdì visto che, come tutte le feste ebraiche, lo shabbat iniziava all’imbrunire del venerdì per concludersi la sera del giorno seguente, quando nel cielo sarebbero state visibili le prime tre stelle. E durante lo shabbat, ci si doveva riposare e anche cucinare o accendere la luce era considerato un lavoro tanto che era in uso accendere la plata, ovvero lo scaldavivande, prima dell’entrata della festività per poter poi mangiare cibi caldi anche durante lo shabbat, E quello che si apprestavano a vivere poteva essere considerato un venerdì come tanti altri. Da lì a poco sarebbero intervenuti almeno una ventina di persone. In primis, suo marito Shmuel Berkowitz e i suoi tre figli maschi che avrebbero atteso la fine delle preghiere che si svolgevano nella sinagoga. E poi le nuore, i nipotini e… sua figlia Yael, diciotto anni appena compiuti. Dovevano affrettarsi perché tra poco sarebbe entrato lo shabbat e non mancava poi così tanto che entrasse quel giorno santo che ricordava agli ebrei il riposo del Signore. E la cena del venerdì sera non era una cena qualunque. Dopo le consuete preghiere, ci sarebbe stata tutta la grazia di Dio a tavola. Ovviamente, tutto kosher. D’altronde, tutta la famiglia era religiosa e osservante. O come li chiamavano dal di fuori, <ortodossi>. Si trattava infatti di una delle numerose famiglie chassidiche provenienti dall’est Europa, soprattutto Ungheria e Romania, che avevano trovato la loro giusta dimensione a Williamsburg, nella parte sud di Brooklin. Non era una delle famiglie più in vista da un punto di vista economico. Ce ne erano tante molto più ricche di loro ma per il sabato si faceva uno strappo alla regola e si spendevano diversi dollari per la cena. Lo shabbat andava onorato. E non sarebbe mancato il Kugel che Esther cucinava divinamente. Fu proprio quest’ultima a cercare con lo sguardo sua figlia Ruth
    “ Ancora nessuno si è fatto avanti per chiedere in sposa tua figlia Yael?” Malgrado si trovassero nel centro di New York, non parlavano inglese benché tutti lo sapessero parlare correttamente, ma yiddish, la lingua con forti assonanze tedesche propria degli ebrei ashkenaziti quali erano. La lingua inglese era invece riservata ai dialoghi con i goim ovvero ai non ebrei. (In Italia si usa dare l’appellativo di < gentili> ma cambia a seconda della regione di origine) o, se capitava, con altri ebrei che non facevano parte della loro comunità. Anche l’ebraico era parlato correttamente da tutti i membri della comunità ma era usato poco nei dialoghi ed era riservato quasi esclusivamente alle pratiche religiose. Ruth intanto, aveva ascoltato la domanda della madre e sul suo viso si disegnò una smorfia
    “ Mamma, non toccare questo tasto, per favore. Sono disperata. Ha già compiuto 18 anni e nessuna madre di Williamsburg è ancora venuta a chiederla. Mi rimarrà zitella. Nessuno la vorrà” La risposta di Ruth era quasi addolorata. Esther scosse la testa
    “ Non sarà facile. Ho provato a chiedere a Shulamit che si occupa di organizzare i matrimoni ma per il momento non ho avuto risposte. Pare in effetti che nessuno la voglia. Quella ragazza è uno scherzo della natura. Ma come è venuta fuori una del genere? E come l’avete educata?”
    “ Ti prego mamma, non mettertici pure tu. Se ci penso mi viene da piangere. Eppure l’ho educata io stessa, le ho insegnato il valore della famiglia ma è una ribelle. Pensa, ieri siamo andate a fare la spesa alla macelleria kosher e quell’impudente… Sguardo alto a guardare in faccia gli uomini e risposta sempre aggressiva come se fosse… Come se fosse una goim. Mi farà morire di crepacuore” Esther continuava a scuotere la testa in forma di dissenso
    “ Mi dispiace dirlo. E’ un peccato parlar male della propria mercanzia e Yael è mia nipote ma c’è qualcosa che non va in quella ragazza. Sembra quasi posseduta dal satan (diavolo).” A Ruth vennero quasi le lacrime agli occhi
    “ Ti prego mamma, non dire queste cose. Yael è molto intelligente. Lo sai che ha vinto il torneo di scacchi riservato alle femmine durante l’ultimo anno scolastico? E’ una buona ebrea ma per qualche misterioso motivo che solo il Signore sa, è venuta fuori ribelle. Non riesce ad accettare certe imposizioni, certe regole. Vorrebbe discutere sempre della situazione e non si accontenta di nessuna spiegazione” Esther interruppe sua figlia
    “ Non è solo ribelle, cara. Mi ricordo di quel torneo di scacchi ed ero fiera di lei. Ma poi lei voleva giocare contro i maschi dicendo che li avrebbe battuti facilmente perché una femmina non è inferiore ai maschi. Ha qualcosa che mi turba quella ragazza. Non sembra una di noi”
    “ Perché è così alta? Non è la prima ragazza ad essere più alta del normale”
    “ Non è solo questione di altezza. E’… E’ troppo bella. Troppo. Mette in difficoltà gli uomini che la guardano. Un maschio della nostra comunità non guarda l’aspetto fisico, grazie al Signore, ma altre doti. Se ci aggiungi pure quella perenne aria che sembra sfidare il mondo, è logico che nessuno si faccia aventi per chiederla in moglie, Ruth”
    “ Non dire così, mamma. Se il Signore l’ha fatta così avrà avuto il suo disegno che noi ignoriamo”
    “ Ti ripeto che non è una questione di altezza. Io l’ho notata. Yael sembra vivere in un mondo che non le appartiene. Ma questo è il nostro mondo. E lei invece fa fatica ad accettarlo” Ruth accennò di sì con la testa. Conosceva bene anche lei sua figlia e sapeva che sua madre aveva pienamente ragione. Yael sembrava quasi costretta a vivere in quel modo.

    Nella sua stanza, Yael osservava il suo volto dinanzi allo specchio. Possedeva bellissimi lineamenti. Il suo ovale era praticamente perfetto, impreziosito da una stupenda bocca carnosa che però a lei non piaceva affatto. Senza sapere che fuori dal suo mondo quello che per lei era un grosso difetto sarebbe stato visto come un grande pregio e che tantissime attrici e soubrettine che bazzicavano la televisione pagavano migliaia di dollari per avere una bocca come la sua. Ma la sua era naturale e molto più bella di quelle bocche costruite artificiosamente. E poi i suoi meravigliosi occhi chiari, due fari incandescenti che attiravano e per certi versi inquietavano. Infine, si soffermò sui suoi meravigliosi capelli. Lunghi, ricci, di color castano chiaro e le vennero le lacrime solo al pensiero che quando si sarebbe sposata li avrebbe dovuti tagliare a zero. Nessun uomo avrebbe potuto guardare i suoi capelli. Avrebbe potuto indossare una parrucca, soprattutto quando sarebbe uscita o, meglio ancora, un copricapo di lana o di cotone, preferibilmente nero. Anche in casa. Ma cosa c’era di male? Perché quella costrizione? Ma forse nessun uomo l’avrebbe mai sposata e la cosa non le dispiaceva affatto. Non aveva proprio voglia di sfornare figli e servire un marito del quale non sarebbe stata innamorata. Non aveva molte idee sulla vita fuori Williamsburg ma sapeva che le donne facevano una vita diversa. Si vestivano carine, si truccavano e soprattutto non facevano da serve. Anche le ebree, non soltanto le goim. Le ebree non ashkenazite che tra l’altro erano malviste nella sua comunità proprio per la troppa libertà di cui disponevano. Antipatia completamente contraccambiata in quanto gli ebrei che vivevano nella cosiddetta normalità mal sopportavano gli ortodossi. Poi si osservò interamente. Ma perché il Signore l’aveva fatta così alta? Era sempre stata la più alta della sua scuola ed erano ben pochi i ragazzi di Williamsburg che la superavano. Col suo 1.84 a soli 18 anni, era fatta spesso oggetto di sorrisini ironici. Ed era quasi ovvio che nessun ragazzo avrebbe mai chiesto di sposarla. O, per essere più esatti, nessuna donna con figli maschi in età da matrimonio avrebbe chiesto a sua madre di darla in sposa a suo figlio. E nella sua comunità rimanere zitelle era quasi un delitto. E questo malgrado a detta di tutti era considerata di gran lunga la più bella di tutta la sua comunità. Nonostante ciò, lei non riusciva ad accettarsi completamente e si vedeva un milione di difetti. Continuò ad osservarsi facendo le faccine strane dinanzi allo specchio. Il suo corpo era completamente nascosto da un tipo di abbigliamento casto che non doveva lasciar trapelare nulla ma sotto quei panni c’era un corpo aggraziato e perfettamente uniformato alla sua altezza, compreso un seno marmoreo che sarebbe stato l’ideale per una pubblicità di un chirurgo estetico. Ma un altro problema la attanagliava. Lei non era soltanto diversa fisicamente dalle altre ragazze ma lo era anche psicologicamente. Ovviamente, non ne aveva mai parlato con nessuno. Tutta la sua comunità sapeva che lei non era la classica ragazza pronta ad obbedire a chiunque ma Yael sapeva che c’era qualcosa in lei che andava ben oltre ma ancora non sapeva bene cosa fosse.

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