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Venere in Pelliccia
Venus im pelz è l’opera più nota di Leopold von Sacher-Masoch, pubblicata nel 1870, forse la prima che descrive esplicitamente un rapporto di dominazione femminile.
Mi sembra giusto pubblicarlo in questa sezione, (oggi è di dominio pubblico), per chi ancora non lo avesse letto.Dio lo ha punito e lo ha dato in mano a una donna.
Giuditta, 16,7Mi trovavo in dolce compagnia.
Di fronte a me, vicino al massiccio caminetto rinascimentale, sedeva Venere, proprio lei, la Dea dell’Amore in persona e non una qualsiasi donnetta che, come Mademoiselle Cleopatra, avesse preso quel nome per combattere il sesso nemico.
Sedeva in poltrona e il fuoco scoppiettante da lei ravvivato le lambiva con riverberi rossastri e guizzanti il viso pallido dagli occhi chiari e, di tanto in tanto, quando cercava di scaldarli, i piedi.
Aveva una testa stupenda, malgrado i morti occhi di pietra, ma non riuscivo a veder altro di lei. La sublime donna aveva il corpo marmoreo avvolto in un’ampia pelliccia in cui si era rannicchiata, tremando, come una gatta.
«Non la capisco, gentile signora,» le dissi «a dire la verità non fa più freddo, e da due settimane poi abbiamo una primavera splendida. Evidentemente lei è nervosa.»
«Bella primavera!» mi rispose con voce profonda e dura come il sasso, e dopo due rapidissimi e celestiali starnuti aggiunse: «Io non ne posso più e ora comincio a capire…».
«Che cosa, mia graziosa signora?»
«Comincio a credere l’incredibile, a comprendere l’incomprensibile. Capisco finalmente la virtù delle donne germaniche e la filosofia tedesca, e non mi meraviglio più che voi del Nord non sappiate amare, anzi non abbiate la più pallida idea di che cosa sia l’amore.»
«Mi permetta, Madame,» replicai indignato «non le ho dato nessun motivo di dir questo.»
«Già, lei…» la divina starnutì per la terza volta e si strinse nelle spalle con grazia inimitabile «per questo anch’io sono sempre stata gentile con lei e ogni tanto vengo persino a farle visita, sebbene ogni volta prenda freddo, nonostante questa mia pelliccia. Ricorda ancora come ci siamo conosciuti?»
«E come potrei dimenticarlo?» dissi. «Lei aveva allora folti capelli castani e occhi dello stesso colore e una bocca rossa, ma io la riconobbi dalla linea del volto e da quel suo pallore marmoreo… Portava sempre una giacca di velluto color violetto, guarnita di una pelliccia grigio argentea.»
«Già, lei aveva perso la testa per il mio abbigliamento, e come se ne intendeva!»
«Lei mi ha insegnato che cos’è l’amore, e la gioia di servir lei, mia dea, mi ha fatto dimenticare tutto.»
«E io le sono stata fedele come più non avrei potuto!»
«Ah, quanto a questo…»
«Ingrato!»
«Non le farò nessun rimprovero. Lei è una donna divina, ma pur sempre una donna, e quindi crudele in amore, come tutte.»
«Lei chiama crudeltà» obiettò vivacemente la Dea dell’Amore «quel che è l’elemento primo della sensualità, dell’amore più vivo, la natura stessa della donna, ossia il darsi completamente quando ama, e amare tutto ciò che le piace.»
«Esiste forse, per chi ama, una crudeltà più grande dell’infedeltà della persona amata?»
«Oh,» rispose lei «noi siamo fedeli finché amiamo, ma voi pretendete dalla donna fedeltà senza amore, e dedizione senza godimento. Chi è crudele, allora, la donna o l’uomo? Voi del Nord prendete sempre l’amore troppo sul serio. Parlate di doveri, quando non si dovrebbe parlar che di piaceri.»
«Sì, Madame, ma abbiamo anche sentimenti molto rispettabili e virtuosi e relazioni durature.»
«Certo, però avete anche un’eterna, intensa e insaziata nostalgia per il paganesimo nudo» intervenne Madame. «Ma quell’amore che è la gioia più alta, la serenità degli dèi, non è cosa per voi uomini moderni, per voi figli della riflessione. Vi arreca sventura. Non appena volete esser naturali, diventate volgari. La natura vi si presenta come qualcosa di ostile, avete trasformato in demoni gli dèi sorridenti della Grecia, e di me avete fatto un essere diabolico. Sapete solo mettermi al bando e maledirmi oppure scannarvi come vittime sacrificali davanti al mio altare, in preda a un furore orgiastico, e se mai uno di voi1 ebbe l’ardire di baciare la mia bocca vermiglia, se ne andò poi pellegrino a Roma, a piedi scalzi e con indosso il cilicio, sperando che il suo bastone secco fiorisse, mentre sotto i miei piedi spuntano ogni momento rose, viole e mirti, ma il loro profumo non giunge sino a voi. Restatevene pure fra le vostre brume nordiche e fra le nubi del vostro incenso cristiano; ma lasciate noi pagani in pace sotto le ceneri e la lava, non dissotterrateci. Pompei non fu certo costruita per voi, non per voi furon costruite le nostre ville, i nostri bagni, i nostri templi. Voi non avete bisogno di dèi! E noi nel vostro mondo moriamo di freddo!» La bella signora di marmo tossì e si strinse ancor più nella pelliccia di zibellino scuro.
«Grazie per la bella lezione,» le risposi «ma lei non può negare che l’uomo e la donna, tanto nel vostro mondo sereno e solatio quanto nel nostro così brumoso, sono nemici per natura e che l’amore per breve tempo li rende un essere unico, con un solo pensiero, un solo sentimento, una sola volontà, per poi separarli ancor più profondamente, e allora – e lei lo sa meglio di me – chi non è in grado di mettere il giogo all’altro dovrà ben presto sentire il suo piede sulla propria nuca…»
«E di regola è l’uomo a esser premuto sotto il piede della donna, come lei sa meglio di me!» esclamò Monna Venere con sovrano disprezzo.
«Certo, ed è proprio per questo che non mi faccio illusioni.»
«Ciò significa che adesso lei è il mio schiavo senza illusioni, e io quindi la calpesterò senza pietà.»
«Madame!»
«Non mi conosce ancora? Sì, io sono crudele – usiamo pure questa parola che le piace tanto – e non ho ragione a esserlo? L’uomo concupisce, la donna è concupita, il suo privilegio consiste solo in questo, ma è un privilegio decisivo. La natura ha consegnato in suo potere l’uomo, preda della propria passione, ed è una sciocca colei che non sa renderlo suo suddito, suo schiavo, anzi il suo giocattolo, per poi tradirlo ridendogli in faccia.»
«Le sue argomentazioni, mia gentilissima…» osservai disarmato.
«Si basano su un’esperienza millenaria» rispose Madame in tono di scherno, mentre le sue bianche dita giocavano con la pelliccia scura. «Più la donna mostra dedizione, più rapidamente l’uomo diventa freddo e dispotico; ma più sarà crudele e infedele, più lo tratterà male, giocando con lui malvagiamente e senza misericordia, più lo infiammerà e ne sarà amata, venerata. È stato sempre così, dai tempi di Elena e Dalila sino a Caterina II e Lola Montez.»
«Non lo nego,» dissi «per l’uomo non c’è nulla di più seducente dell’immagine di una bella, voluttuosa e crudele tiranna che avvicenda i suoi favoriti a seconda del proprio capriccio con superba noncuranza…»
«E che indossi una pelliccia» aggiunse la dea.
«Questo che c’entra?»
«Conosco bene le sue predilezioni.»
«Ma lo sa» intervenni «che da quando ci siamo visti l’ultima volta lei è diventata molto civetta?»
«In che senso, se è lecito?»
«Nel senso che non potrebbe esserci guaina più bella per il suo corpo candido di questa pelliccia scura, e lei lo…»
La dea rise.
«Lei sta sognando,» esclamò «si svegli!», e mi afferrò per il braccio con la sua mano marmorea. «Avanti, si svegli!» tuonò ancora una volta la sua voce. Aprii faticosamente gli occhi.
Mi accorsi allora che la mano che mi scuoteva era color del bronzo, e la voce era quella, roca di acquavite, del mio cosacco, in piedi davanti a me in tutta la sua altezza di sei piedi.
«Si alzi, coraggio,» mi diceva quel brav’uomo «è proprio una vergogna!»
«Ma quale vergogna?»
«Addormentarsi vestito e per di più con un libro accanto,» smoccolò le candele consumate e raccolse il volume che mi era sfuggito di mano «un libro di… Hegel,» precisò aprendolo «ma è ormai tempo di andare dal signor Severin, che ci aspetta per il tè.»
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