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  • Schiavolc

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    Luglio 19, 2023 at 8:57 pm in reply to: Un legame profondo, La storia di Mistress Nina

    Capitolo 2

    “Una notte in discoteca”

    Il giorno seguente Chanel su svegliò prima di Valentina e decise di sfruttare quell’occasione per fare una sorpresa e dimostrare tutto il suo affetto alla sua amata padrona. Restò ancora una decina di minuti sotto al letto a odorare le scarpe della dea e poi nonostante fosse ancora un po’ stanca si alzò e dopo aver ammirato per qualche secondo i piedi della padrona, cercando per rispetto di evitare di guardare il resto del suo meraviglioso corpo si diresse in bagno per sciacquarsi e darsi una sistemata seguendo i consigli di make up che le aveva dato Valentina la sera prima.
    Mentre era in bagno dovette combattere contro se stessa per non masturbarsi, difatti tutta quella situazione le dava un enorme eccitazione, eccentuata inoltre dall’avere ancora i fantasmini della padrona in bocca dalla sera prima.
    Non avendo avuto nessun ordine da parte di Mistress Nina decise sia di tenere i calzini in bocca, saltando così la colazione, sia di desistere all’eccitazione ed evitare quindi di masturbarsi.

    Andò dunque in cucina con l’idea di preparare una sfiziosa colazione per la padrona che avrebbe soddisfatto in pieno i suoi gusti. Decise quindi di preparare dei deliziosi muffin al cioccolato aiutandosi con ricette e video trovati online e cercando di non fare alcun tipo di rumore per non svegliare Valentina. Mise tutto il suo impegno nella preparazione di quei muffin e più di una volta fu tentata di assaggiarne uno ma riuscì sempre a desistere per evitare di togliere i calzini della dea dalla bocca.
    Accompagnò i muffin con un tè caldo e un bigliettino sopra cui scrisse una lettera d’amore che anni prima fece per Valentina, stando bene attenta però a cambiare alcuni termini in modo da darle sempre del lei e utilizzare aggettivi al femminile per riferirsi a sé stessa.

    Una volta che tutto fu pronto mise la colazione su di un vassoio e la portò in camera dove l’appoggiò sul comodino a lato del letto. Dopodiché si inginocchiò ai piedi del letto e iniziò a baciarle le piante dei piedi in modo molto delicato ma stando attenta a non fare il solletico alla sua padrona.
    Dopo qualche minuto vedendo che Valentina non accennava a svegliarsi iniziò ad aumentare l’intensità dei baci accompagnandoli con qualche carezza e massaggio su polpacci e piedi. Dopo qualche altro minuto finalmente Vale aprì gli occhi.

    Vale:”Buongiorno Chanel. È proprio bello svegliarsi così” disse con voce debole, sbadigliando e con un enorme sorriso sul volto.

    Chanel provò a rispondere al buongiorno ma nè uscì un verso incomprensibile per via dei calzini che aveva in bocca.

    Vale:”Hahahah hai ancora i miei calzini in bocca? Brava puttanella continua a ciucciarli mentre mi baci i piedi. E mettici più forza nel massaggio” esclamò ridendo di gusto ma con un tono autoritario.

    Si mise al telefono per qualche minuto in cui approfittò anche per fare qualche foto a chanel mentre era ai suoi piedi prima di notare la colazione.

    Vale:”No va beh pure la colazione? Così mi vizi. I muffin sono ancora caldi, li hai fatti tu? Sei incredibile, proprio una schiava perfetta mi sa che ti terrò per sempre a vivere con me hahahah” disse con un tono gioioso.

    Apprezzò molto sia la colazione sia la lettera. Dopo un po’ si accorse che non avendo tolto i calzini dalla bocca Chanel non aveva potuto fare colazione. Decise quindi di ricompensare la schiava preparandole una colazione molto fantasiosa.
    Andò in cucina con Chanel che la seguì dietro di lei a quattro zampe e con il vassoio sulla schiena che Valentina le aveva ordinato di non far cadere altrimenti avrebbe ricevuto una severa punizione.
    Sebbene il compito non fu facilissimo la schiava riuscì, gattonando in modo lento e goffo a svolgere il compito tra le risate della dea. Valentina si sedette dunque su una sedia e fece mettere a Chanel una tovaglietta per terra sopra cui appoggiò il piatto con all’interno un paio di muffin avanzati e su cui verso un po’ di tè ormai diventato tiepido, aggiungendo infine qualche sputo. Dopodiché si mise a spappolare il tutto coi piedi creando praticamente una pappetta sparsa su tutti i suoi meravigliosi piedi. Chanel rimase scioccata nel vedere la scena e a bocca aperta per lo stupore tanto che rischiò di far cadere i calzini dalla bocca.

    Vale:”Ora tocca a te fare colazione. Togli i fantasmini dalla bocca e mangia per bene la pappetta che ti ho preparato. Voglio che finisci tutto e che lasci i miei piedi immacolati” disse con tono molto auritario e accompagnando la frase con paio di schiaffetti sulle guancie di Chanel.

    Chanel:”Grazie mille padrona, sono molto onorata di questo suo prezioso regalo, non merito tutto questo, sono la schiava più fortunata del mondo” esclamò con un tono che traspariva un mix tra gioia, stupore ed eccitazione.

    Chanel iniziò quindi a mangiare la sua colazione direttamente dai piedi di Valentina, leccando e succhiando per bene quei piedi levando via tutta la pappetta da essi. Li leccò dal tallone alle dita passando per la pianta e senza scordarsi del dorso, Vale lì risporcò un altro po’ di volte fino a quando non finì tutta la pappetta. Chanel apprezzò molto quella colazione, dal sapore buono ma soprattutto per via di quei piedi che erano splendidi pure se ricoperti di muffin sbriciolati e nonostante non emanassero nessun odore in particolare né presentavano macchie di sudore riuscirono comunque a mandare al settimo cielo la schiava con la loro bellezza, morbidezza e incredibile eleganza.
    L’unica cosa un po’ ardua fu riuscire a ripulire con la lingua le parti di muffin finite sotto le unghie della dea, ma con un po’ di sforzo extra riusì a farlo.
    La mattinata proseguì con qualche altra leccata e massaggio ai piedi e anche qualche umiliazione, dopo un pranzo leggero Valentina concesse a Chanel di masturbarsi mentre la padrona le fotteva la bocca.
    Dopodiché le due si docciarono e uscirono con degli amici non prima però che Chanel facesse qualche bella foto ai piedi della padrona.
    Quella domenica sera Valentina tornò a casa sua e prima di salutare Ale gli diede un ultimo ordine, ovvero il divieto di masturbarsi senza il suo permesso, ordine che Ale ormai svestito dai panni di Sissy Chanel da ore per evitare scomode domande, accettò ben volentieri nonostante sapesse benissimo che sarebbe stato un compito molto arduo.

    Passarono 5 giorni in cui le due si scrissero e videro più volte. Quando erano soli o al telefono Ale diventava Sissy Chanel ed era Valentina a decidere quando trattarla come schiava e quando trattarla da semplice amica decidendo ciò a suo piacimento. Quando invece si trovavano con amici o in generale davanti ad altra gente Chanel tornava ad essere semplicemente Ale.
    In quei giorni Vale usò Chanel per farle fare alcune commissioni come andare a fare la spesa o accompagnarla in giro per la città come se fosse un autista privato.
    Ci furono un paio di uscite con gli amici in quei giorni in cui però Chanel non ebbe occasione di svolgere nessuna pratica.
    Solo giovedì successe qualcosa di più piccante quando nel pomeriggio Chanel chiese alla padrona mentre era in videochiamata con lei di potersi masturbare. In un primo momento Vale le negò il permesso salvo poi cambiare idea qualche minuto più tardi.

    Vale:”Ti concederò l’onore di masturbarti mentre mi lecchi i piedi più tardi quando mi vieni a prendere per andare a ritirare la cena d’asporto per me e mia mamma. Per avere questo onore però dovrai presentarti con un foglio su cui dovrai scrivere mille volte, Mistress Nina vivo solo per lei e vi amo più di ogni altra cosa al mondo, metti il numero prima di ogni frase che non ho voglia di contarle tutte e fai un cuoricino rosso alla fine di ogni frase. Se sarò soddisfatta ti darò il permesso per masturbarti lurida cagna”.

    Chanel obbedì e ringraziò la padrona. Ci mise circa due ore per svolgere il compito mettendoci il massimo dell’impegno per non deludere la padrona.
    Si presentò, con venti minuti di anticipo rispetto all’orario che le aveva dato la dea sotto casa sua e dovette aspettare quasi un ora prima di vederla arrivare. Vale si presentò con una canotta bianca, un pantaloncino nero della tuta, i capelli raccolti e completamente struccata, era davvero incredibile come risultasse così bella anche senza fare il minimo sforzo. Ai piedi indossava un paio di sandali bianchi senza tacco.
    Le due andarono con la macchina in un posto abbastanza deserto vicino a casa della padrona per appartarsi. Qui Valentina abbassò il sedile della macchia andando ad appoggiarsi con la schiena al sedile posteriore e stendendo le gambe su quello anteriore. Si fece dare il foglio e mentre lo leggeva diede l’ordine a Chanel di leccarle le suole dei sandali, che al contrario delle nike leccate qualche giorno prima erano abbastanza pulite non essendo un tipo di scarpa che la dea indossava molto frequentemente. Dopo qualche minuto Vale finì di leggere il foglio e apprezzò molto il lavoro fatto dalla sua schiava, le ordinò dunque di toglierle i sandali e iniziare ad adorarle i piedi.
    Chanel iniziò dunque a massaggiare, baciare e leccare i suoi piedi che sfortunatamente erano profumati e asciutti visto che Valentina si era già fatta la doccia prima di decidere che si sarebbe vista con Chanel.
    Nonostante l’assenza dell’odore afrodisiaco che la schiava amava tanto non si fece molti problemi e si divorò quei magnifici piedini, consumando la sua lingua sulle sue piante. Dopo circa una mezz’ora Vale le iniziò a fottere violentemente la bocca coi suoi piedi e nel mentre Chanel ebbe il permesso di iniziare a sfregarsi le dita sulla cappella in modo sempre più veloce fino a venire dopo neanche cinque minuti. Mistress Nina obbligò la schiava a venire dentro le mutande e questo le provocò anche una vistosa macchia sui suoi pantaloncini, dopodiché si fece rimettere i sandali e le due andarono al ristorante. Qui Valentina volle divertirsi ordinando alla schiava di andare dentro a pagare e ritirare la cena nonostante la macchia di sborra sui suoi pantaloncini.
    Inizialmente Chanel fu titubante ma dopo un paio di forti schiaffoni rifilatole dalla dea si convinse ad uscire dalla macchina e svolgere il compito che le era stato affidato.
    Dentro il ristorante si vergognò come una ladra e provò un forte senso di umiliazione dato anche dalle tante occhiatacce che ricevette mentre aspettava l’ordine che per fortuna fu pronto in pochi minuti.
    Pagò in fretta e tornò alla macchina. Riaccompagnò la Mistress a casa ed ebbe l’onore di dare qualche bacio al dorso e alle dita dei suoi piedi, ancora smaltate di rosso, prima che la padrona salisse a casa.

    Arrivò dunque sabato sera in cui le due sarebbero andate in discoteca insieme ad altri amici. Chanel avrebbe inoltre passato un paio di giorni a casa di Valentina visto che sua madre era andata a passare il week end nella loro casa in montagna in cui dopo qualche giorno sarebbero andati in vacanza anche Mistress Nina e la sua schiava.
    Le due sarebbero state in macchina da sole sia all’andata che al ritorno e ebbero così modo di conversare un po’.
    La schiava arrivò con qualche minuto di anticipo come al solito, con un outfit tutto nero, camicia, pantalone e scarpe eleganti che le facevano sentire ancora di più il caldo già abbastanza pesante dell’estate milanese.
    Dovette aspettare quasi tre quarti d’ora per vedere finalmente arrivare la padrona, ma l’attesa venne immediatamente ripagata da quella fantastica vista. Valentina era davvero meravigliosa, truccata di tutto punto, con i boccoli e un vestitino rosa molto sexy che lasciava intravedere parecchio le sue incredibili forme, ai piedi invece portava delle décolleté nere dal quale era possibile vedere solo il dorso dei suoi piedi.
    La schiava restò a bocca aperta alla visione della sua padrona e iniziò a riempirla di complimenti che fecero ridere di gusto Valentina. Durante il viaggio le due ebbero modo di parlare un po’ del loro rapporto e delle loro sensazioni, trovandosi d’accordo su praticamente tutto, decidendo quindi che quello degli ultimi giorni sarebbe stata l’evoluzione migliore possibile per loro ma ripromettendosi di non forzare troppo i tempi, lasciando che le cose seguano un corso naturale che permetta ad entrambi di calarsi a pieno nei nuovi ruoli e scoprire ciò che è nei propri interessi e ciò che non lo è.
    Valentina decise inoltre che il giorno seguente sarebbero andate in un grande centro commerciale ad Arese, che si trovava a mezz’oretta di distanza da casa della dea, dove avrebbero potuto prendere un po’ di cose utili sia per la vacanza in montagna sia per i loro nuovi ruoli. Arrivarono alla discoteca con un leggero ritardo dovuto dal fatto che le due girarono parecchio prima di riuscire a parcheggiare la macchina.

    Una volta entrate dentro la discoteca le due iniziarono a divertirsi e a ballare nella zona del privè dove avevano preso il tavolo.
    Ale cercò di comportarsi come se nulla fosse cambiato in quei giorni ma nonostante ciò rimase appiccicato a Vale tutta la serata, rifiutandosi anche di andare a parlare con una ragazza di un’altro tavolo che sembrava interessata a lui, nonostante non fosse una ragazza bellissima era abbastanza carina, soprattutto considerando lo scarso successo con le donne di ale, per poter stuzzicare un po’ di interesse.
    Ma il ragazzo scelse logicamente di restare al fianco di Valentina per divertirsi con lei ed esaudire ogni sua richiesta, tenendole la borsa praticamente per tutta la serata, andando a prenderle da bere, cosa che per fortuna dovette fare solo un paio di volte visto che la dea voleva bere poco per godersi sia la serata in discoteca sia il post serata a casa con la schiava.
    Inoltre dovette andare per ben due volte a fare la fila per il bagno delle donne per arrivare davanti e avvisare Valentina che sarebbe potuta andare in bagno evitando dunque di dover passare svariati minuti in fila.

    Nel corso della serata la splendida ragazza ricevette molte avance da parte di diversi ragazzi che vennero però rifiutati tutti.
    Resistette per svariate ore prima di cedere alle lusinghe di un bel ragazzo alto e abbastanza muscoloso di nome Simone che riuscì nell’impresa di attirare l’attenzione di Valentina. A dirla tutta i due già si conoscevano da tempo ma non avevano mai approfondito troppo la loro conoscenza.
    Dopo qualche minuto passato a chiacchierare i due cominciarono a pomiciare. Alla vista dell’amore della sua vita che si baciava con un’altra ragazzo, Ale per la prima volta dopo tutti quegli anni provò un senso di piacere.
    Con la svolta che aveva preso il loro rapporto nei giorni precedenti ora vedeva Valentina definitivamente sotto un’altra luce, non era più geloso di vedere la ragazza che amava stare con un’altro ragazzo, ma era invece felice di vedere la sua padrona divertirsi e provare piacere con un’altro uomo per la prima volta dopo più di tre mesi da quando aveva chiuso la sua lunga relazione con il suo ex Matteo.
    I due passarono un oretta al tavolo a chiacchierare, sbaciucchiarsi e ballare. Nel mentre Ale rimase nei paraggi per poter essere utile alla padrona in caso di bisogno, cosa che però successe solo una volta quando Vale gli chiese di andare a prendere da bere a lei e Simone venendo poi totalmente ignorato per il resto del tempo, in cui tra l’altro si svuotò totalmente il tavolo con tutti gli amici che tornarono a casa lasciando Ale da solo a guardare la coppietta pomiciare e provando un enorme eccitazione in tutto ciò.

    Una volta usciti tutti e tre dalla discoteca presero quest’accordo, Simone avrebbe riaccompagnato gli amici a casa e poi avrebbe raggiunto Valentina a casa sua.
    Nel mentre Mistress Nina e Sissy Chanel tornarono a casa e la schiava si buttò subito sotto la doccia e successivamente aiutata dalla padrona si travesti e truccò esattamente come aveva fatto la domenica precedente, riuscendo ad infilarsi sotto al letto con un paio di scarpe che Vale usava in palestra e molto odorose tra le mani, poco prima dell’arrivo del ragazzo. I due scoparono per più di quaranta minuti in cui vennero entrambi due volte, con una breve pausa tra i due round e in cui Simone riempì di sborra ben due preservativi che Valentina mise sul comodino prima che il ragazzo se ne andasse.
    Non appena Simone uscì di casa la padrona ordinò a Chanel di uscire da sotto al letto. Chanel uscì e si inginocchiò ai piedi del letto, in un mix di eccitazione e umiliazione, e si ritrovò davanti ad una vista mozzafiato, Valentina infatti era totalmente nuda sopra al letto con solo le décolleté nere ai piedi che aveva tenuto durante tutto l’amplesso. Chanel rimase qualche secondo a bocca aperta a guardare la sua padrona per poi abbassare la testa e iniziare a baciare scarpe e piedi della dea pregando in un suo perdono.
    La padrona andò dalla schiava le tirò qualche schiaffetto in faccia le sputò più volte in faccia e in bocca e poi con un sorriso diabolico sul volto le diede il permesso di poterla guardare anche quando nuda d’ora in avanti. Si mostrò a Chanel per qualche secondo a Chanel e poi si sdraiò sul letto con la schiena appoggiata allo schienale, con un cuscino che rendeva tutto più comodo e ordinò alla schiava di mettersi in ginocchio sopra il letto accovacciata ai suoi piedi e di iniziare a leccarle le scarpe.
    La schiava iniziò dunque a leccare quelle bellissime scarpe concentrandosi ovviamente di più sulle suole e sul tacco che succhiò molto volentieri come se fosse un cazzo, trovando più piacere nel leccare le calzature della dea rispetto a quanto successo nelle volte precedenti.

    Quando i tacchi furono lucidati Valentina le ripulì la lingua a suon di sputi per poi farsi togliere e annusare le scarpe dalla schiava.
    In quei pochi secondi che Chanel passò col naso dentro i tacchi poté constatare un’odore molto buono seppur di intensità minore rispetto alle scarpe da ginnastica. Quello che invece stupì la schiava fu invece il momento in cui iniziò ad annusare e massaggiare i piedi della padrona che erano molto più sudati e con un odore, seppur un po’ diverso, molto buono e intenso quasi quanto quello della domenica precedente. Infilò il naso per quasi venti minuti sui suoi piedi e iniziò a sembrare un cane da tartufo e ciò fece ridacchiare svariate volte Mistress Nina.
    Quando si era ormai inebriata di quell’incredibile profumo Chanel ottenne il permesso di iniziare a baciare i piedi della padrona e ad ogni bacio che dava la sua eccitazione aumentava sempre di più.
    Quando ormai la serata sembrava procedere in modo uguale a quella della domenica precedente ecco che Valentina decise di rendere le cose più piccanti.
    Prese i preservativi usati da Simone e li svuotò completamente sui suoi piedi, andando a ricoprire quasi totalmente dita, pianta e tallone, usando un preservativo per piede. Dopodiché mise i preservativi in bocca a Chanel che li succhiò incuriosita ed eccitata per qualche secondo prima che la padrona glieli togliesse dalla bocca per ordinarle di ripulirle i piedi da cima a fondo.
    Chanel iniziò con qualche timida laccata in cui assaporò il mix creato dal sudore e dalla sborra del ragazzo, leggermente salata e aspra, e che le iniziò a piacere molto.
    Una volta presa confidenza col sapore iniziò quindi a fare leccate più lunghe, intense e vigorose. Succhiava il tallone e poi leccava da lì fino alle dita, che succhiava e leccava in mezzo ad esse con grande devozione e impegno. Dopo quasi venti minuti i magnifici piedi della padrona erano stati totalmente ripuliti dalla sborra e dal sudore ed erano ormai interamente ricoperti dalla saliva della schiava.
    A questo punto Mistress Nina iniziò a fottere con molta violenza la bocca della schiava, spingendole metà piede dentro fino a quando le sue dita non toccavano la gola di Chanel che doveva con tutte le sue forze resistere ai conati di vomito e continuare a ciucciare quei piedi divini.
    Valentina iniziò inoltre a masturbarsi nel mentre e solo quando era vicina a venire diede il permesso alla schiava di strofinare le proprie dita sulla cappella.
    Le due vennero quasi insieme e anche dopo che vennero Chanel continuò a succhiare e leccare i piedi della padrona fino a quando lei non decise che si sarebbero dovute andare a sciacquare e ripulire.
    Una volta tornate nel letto le due si sdraiarono con la schiava accucciata ai piedi di Valentina con il piede sinistro per metà in bocca e per l’altra metà massaggiato e accarezzato e con il piede destro sul suo viso.
    Le due si addormentarono così quella notte.

    Fine capitolo 2

  • Schiavolc

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    Luglio 16, 2023 at 5:08 pm in reply to: IL DIAVOLO SI CHIAMA SARA

    Dopo avermi fatto scendere dalla vettura, scese anche Sara, con calma e
    tranquillita’. Pensai per qualche secondo di fuggire, di darmela a gambe il
    piu’ velocemente possibile e ci rinunciai solo per amore nei confronti di
    Mattia. Immaginai che tipo di vendetta avrebbe potuto avere nei confronti di
    mio nipote e rinunciai a quell’eventualita’. Lei intanto, sempre con molta
    calma, si posiziono’ davanti al cancello chiuso. Cosa aveva intenzione di
    fare? Come aveva intenzione di entrare in quel luogo fermamente serrato da un
    grosso lucchetto e da una catena che doveva pesare diversi chili? Tutto avrei
    immaginato tranne quello che poi fece. Ordino’ ad uno dei ragazzi di toglierle
    il sandalo destro e poi…. Roba da non credere! Mi stropicciai gli occhi ma
    era tutto vero. Sara aveva sferrato un calcio con una violenza inaudita e la
    catena col lucchetto erano saltati di botto. La guardai impressionato e
    terrorizzato. Un calcio del genere mi avrebbe ammazzato sul colpo. Il mio
    orgoglio, che dentro la macchina era riapparso almeno in parte, evaporo’ del
    tutto

    ” Che cosa vuole farmi, signorina Sara? La prego” piagnucolai

    ” Ma guardalo il cazzone! Adesso te la stai facendo sotto, vero? Mi piace
    veder tremare i maschi, te l’ho detto. Mi stai facendo bagnare le mutandine.
    Dopo saro’ costretta a scoparmi un paio dei ragazzi. Ma intanto entra!” Mi
    prese il braccio e mi fece entrare in quel luogo. Percorremmo una cinquantina
    di metri tra vetture di tutti i tipi e poi si fermo’ appena ci trovammo in una
    spiazzo abbastanza largo

    ” E’ giunto il momento, zio Stefano. Tu fai quello che vuoi, difenditi se lo
    ritieni opportuno oppure subisci senza alzare le mani. Io non cambiero’ il mio
    comportamento di una virgola. Dimmi, quanti giorni d’ospedale vuoi fare?
    Quindici ti bastano? Consideralo un riposino, delle ferie supplementari”
    Indietreggiai impaurito. Come se non bastasse tutto quello che le avevo visto
    fare, la sua sicurezza mi impressionava. Balbettai qualcosa, ma lei si
    avvicinava. Non potevo scappare e sarebbe stato inutile se non peggio. Decisi
    di vender cara la pelle, pregando Dio che Sara non mi facesse arrivare un
    calcio come quello che aveva rotto il lucchetto e mi misi in posizione di
    boxe, con la guardia sinistra. Lei finse un paio di attacchi sorridendo,
    facendomi indietreggiare ulteriormente fino a farmi quasi inciampare. Poi,
    assaggio’ la mia guardia con un calcetto. Lo parai e cercai a mia volta di
    attaccare. Non sapevo usare bene i piedi e fui costretto ad avvicinarmi per
    cercare di portare qualche jab che Sara paro’ con estrema facilita’. Non si
    metteva nemmeno in posa di combattimento e teneva le braccia lungo il corpo,
    come faceva a suo tempo Cassius Clay, salvo poi muovere quelle braccia a
    velocita’ supersonica per parare i miei colpi. Tentai un montante che Sara
    evito’ con una torsione del busto e poi tentai la sorte con un diretto. Sara
    stavolta non si accontento’ di parare o evitare il mio pugno ma lo blocco’ a
    mano aperta, mano che poi si strinse inesorabile sul mio pugno. Urlai dal
    dolore. La sua forza era incredibile e le era bastata quella semplice mossa
    per stroncare ogni mia velleita’. Mi lascio’ la mano ma non feci in tempo ad
    indietreggiare in quanto mi colpi’ con un manrovescio, come aveva fatto
    all’uscita del biliardo. La violenza fu tale che quasi mi alzai da terra e
    ricaddi un paio di metri piu’ dietro. Non era logico, non poteva essere
    normale una cosa del genere ma stava avvenendo. Sara si avvicino’ col suo
    solito ghigno

    ” Dai caro, alzati bello. Ti ho appena sfiorato. Mica ti arrenderai cosi’
    presto?” Non sapevo cosa fare. Arrendermi? Magari! Provai a commuoverla

    ” Lei e’ troppo forte per me, signorina Sara. Mi arrendo. Faro’ tutto quello
    che lei vuole” Per tutta risposta ebbi una risata e poi un calcio al costato

    ” Ma davvero? E te ne rendi conto solo adesso che sono troppo forte per te? Me
    ne sbatto i coglioni che ti arrendi, io continuero’ a picchiarti” Mi alzo’ per
    il bavero della giacca e poi mi diede un’altra sberla gigantesca. Dio, quanto
    facevano male quegli schiaffi. Facevano male sia nel corpo che nel morale ed
    erano umilianti e dolorosi. Arrendermi non era servito a nulla e dovevo
    decidere il da farsi. Se fossi rimasto passivo, avrebbe continuato
    imperterrita a picchiarmi e scelsi l’attacco. Mi alzai come una furia e cercai
    di caricarla a testa bassa. Era straordinariamente forte ma forse era
    vulnerabile e se fossi riuscito a colpirla, la lotta avrebbe potuto prendere
    una piega a me favorevole. Ma non riuscii a prenderla. Era velocissima, quasi
    un fulmine e si scanso’ per poi colpirmi con un calcio all’altezza dello
    stomaco. Mi piegai in due e sprofondai nell’abisso. I susseguenti calci e
    pugni non li vidi nemmeno partire, tanta era la sua velocita’. Prima alla
    testa, poi al costato, poi ancora in viso, alle gambe e di nuovo al volto. Mi
    sembrava di avere di fronte a me almeno dieci persone che mi picchiavano
    ferocemente ed invece c’era soltanto una ragazzina di 19 anni. Danzava intorno
    a me, mi colpiva due o tre volte contemporaneamente senza trovare alcuna
    resistenza, poi si ritraeva sorridendo compiaciuta per poi ricominciare.
    Quanto duro’ il tutto? Non piu’ di cinque minuti, anche se a me sembrarono
    eterni. Ero ormai ridotto allo stremo. Ero a terra, accucciato, impaurito,
    piangente e soprattutto sanguinante da ogni parte. Mi venne vicino e mi prese
    per un braccio trascinandomi verso alcune vetture, poste una sopra l’altra.
    Non faceva nessuna fatica a trasportarmi e mi sembrava quasi di scivolare su
    una lastra di ghiaccio, trattato come un bambino che fa i capricci e punta i
    piedi e che viene portato via a forza dai genitori. Mi lascio’ il braccio e si
    mise di fronte alla pila di autovetture, inquadro’ la seconda partendo dal
    basso e quindi sferro’ un pugno tremendo alla carcassa di quella macchina
    colpendone la portiera e sfondandola completamente. Cristo santo! Non era
    possibile. Malgrado tutto quello che avevo subito, ancora credevo che ci fosse
    qualcosa d’impossibile per quella ragazza che, non contenta, afferro’ cio’ che
    era rimasto di quella portiera divergendola dal resto della carrozzeria. Si
    avvicino’ di nuovo a me sorridente con il suo trofeo

    ” Hai visto tesoro? Hai visto di cosa sono capace? Puoi ritenerti fortunato di
    come ti ho conciato. Pensa se ti avessi colpito con la stessa violenza con cui
    l’ho fatto con quella macchina. Chissa’, forse ho trovato il lavoro del mio
    futuro. Mi mettero’ a fare la sfasciacarrozze. Potrei sfondarle a forza di
    calci e pugni, perche’ no? Sono cosi’ delicate che si aprono in due sotto le
    mie mani” Termino’ la frase scoppiando a ridere. Una risata lugubre per le mie
    orecchie che riecheggio’ in quel luogo isolato e che mi fece venire i brividi.
    Era pazza! Strisciai ai suoi piedi con la poca forza che mi era rimasta

    ” Mi lasci andare, la prego. Mi ha punito abbastanza”

    ” Te ne vuoi andare? Non ti piace la mia compagnia? Ma questa e’ un’offesa.
    Una ragazza non puo’ sopportare affronti simili. Ci vuole tatto con una donna,
    non ti pare stronzone? Hai bisogno di imparare a rispettare una ragazza. No
    mio caro, ancora non ho finito con te” Oddio no! E adesso cos’altro aveva
    intenzione di farmi? Mi sentivo male e non ce l’avrei fatta a subire altre
    percosse. Lei invece, tra il mio completo sbigottimento, improvviso’ uno
    spogliarello, iniziando a togliersi i suoi jeans aderentissimi e mettendo ben
    in mostra il suo sederino che, malgrado la gravita’ del momento, trovai
    adorabile e perfettamente proporzionato, a malapena coperto dal suo perizoma.
    Si tiro’ giu’ anche il perizoma, scoprendo le sue parti intime senza alcun
    tipo di vergogna

    ” Vieni qui!” mi ordino’ ed io, strascinandomi pesantemente le obbedii. Lei
    prosegui’ “Ora mi lecchi il culo per bene. Voglio sentire la tua lingua
    pulirmi del tutto. Oh, mi dispiace se potrai trovare qualcosa ma sai, sono una
    ragazza molto pulita e mi sono fatta la doccia sia stamattina che nel
    pomeriggio dopo i miei allenamenti, ma sono trascorse diverse ore. Forse
    potrai trovarci dei rimasugli” Chinai la testa ed iniziai a leccarle il buco
    dell’ano. Cercai di vincere le forze di stomaco che mi attanagliavano e
    proseguii, ma quando le usci’ un peto, mi scansai d’istinto. Non feci in tempo
    ad allontanarmi che lei si volto’ e mi afferro’per la gola

    ” Brutto coglione. Quando io scorreggio tu devi respirare a pieni polmoni, ti
    devi inebriare come se respirassi aria di montagna, intesi?”

    ” Si signorina Sara, intesi” piagnucolai. La sua mano sulla mia gola era
    troppo pericolosa per poter fare qualsiasi obiezione. Con quella forza
    pazzesca che si ritrovava avrebbe potuto spezzare il mio collo come se fosse
    di carta pesta

    ” Molto bene. Ho proprio voglia di scorreggiare di nuovo. Inchinati dietro al
    mio culo e respira profondamente” Lo feci, umiliato da quella ragazza,
    incapace ancora di capire come tutto fosse possibile e respirai il suo peto
    che stavolta le usci’ rumoroso facendo vibrare la mia faccia e facendomi
    scoppiare poi in un pianto a dirotto. Non piangevo cosi’ da quando ero
    bambino, non ricordavo nemmeno quando fosse accaduta l’ultima volta, ma
    singhiozzavo senza ritegno. Sara mi guardo’ con disprezzo

    ” Guarda il vero uomo, quello che non deve chiedere mai. Sei patetico. Un po’
    d’orgoglio dai, non si piange davanti ad una ragazza. Oh, ma forse tu
    appartieni a quelli che piangono per un nonnulla. Hai pianto per una
    scorreggia, cosa farai quando ti spezzero’ il braccio?” Smisi di singhiozzare.
    Voleva spezzarmi il braccio? Oddio no. Non ero in grado di difendermi da lei
    ne’ di scappare, non potevo fare nulla. Mi inginocchiai di fronte a lei mentre
    si tirava su il suo jeans

    ” Per favore, signorina Sara, non lo faccia”

    ” Uh quante storie per un braccio. Si riaggiustera’ vedrai. Ma sai, spezzare
    un braccio e’ il mio marchio di fabbrica. Come Zorro, ce l’hai presente? Lui
    incideva la zeta ed io spezzo un braccio. L’ho fatto con tuo nipote e con gli
    altri ragazzi, vuoi che non lo faccia con te? Oppure vuoi che ti spezzi
    qualche altra cosa? Magari una gamba. Ma no, ti consiglio il braccio e ti
    faccio anche un favore. Ti spezzo quello sinistro cosi’ con il destro potrai
    mangiare e fare quello che vuoi. Anche una bella sega pensando alla scopata
    mancata con me” Non provai nemmeno a scappare. Mi afferro’ il polso della mano
    sinistra e sentii di nuovo un dolore immenso, come se non fosse bastato tutto
    cio’ che avevo subito, mentre lei sembrava che neanche si sforzasse. Si
    rivolse ad Andrea

    ” Prendi al cazzone il pacchetto di sigarette e portamene una” Andrea venne
    vicino a me ed esploro’ l’interno della mia giacca traendone fuori le
    sigarette e l’accendino, ne mise una in bocca a Sara e glie l’accese. La
    ragazza si rivolse poi a me “Finisco questa sigaretta in santa pace e poi
    <crac>, ti spezzo il braccio. Adoro sentire il rumore delle ossa che si
    spezzano. Mi fa sentire un brivido….Mmmmm, e’ veramente eccitante” Era
    pazza! Pazza ma tremendamente ed incredibilmente forte. Mi teneva il polso con
    la sua mano sinistra e mi causava un dolore immane, mentre con la destra
    fumava tranquillamente, per non parlare di cio’ che aveva dato ampia
    dimostrazione poco prima. Doveva essere sicuramente una campionessa di qualche
    arte marziale con una velocita’ straordinaria ed un’efficacia senza pari.
    Impossibile qualsiasi difesa contro di lei. Aspettavo che finisse di fumare,
    tremando e piangendo come un bambino, ma con la speranza che volesse solo
    incutermi paura e che non avesse veramente intenzione di fare quello che aveva
    minacciato ma, appena termino’ di fumare, schiaccio’ la sigaretta con il suo
    sandalo destro e poi, con nonchalance, fece scendere un colpo col taglio della
    mano sul mio braccio. Urlai e poi mi rotolai sul terreno, tenendomi il braccio
    sinistro con la mano destra. Il dolore era tremendo, ma ancor di piu’ mi
    faceva senso vedere quel braccio penzoloni. Lo aveva rotto. Come mi aveva
    promesso e minacciato. Mi sentivo svenire per quel dolore lancinante che mi
    entrava nel cervello come uno spillone, ma cercai di rimanere lucido. Mi
    dicevo che tutto era terminato e che fra poco loro se ne sarebbero andati. No,
    non era terminato. Sara ordino’ ai due ragazzi di tirarmi su e loro le
    obbedirono

    ” Prendete il portafogli a questo idiota. Togliete tutti i soldi e gettatelo a
    terra” Mentre uno dei due espletava l’ordine, lei si avvicino’ a me “In questo
    modo tu potrai dire che e’ stata una rapina. Se invece tu dovessi accusarmi,
    io prima me la riprendero’ con Mattia e poi con te. Sai cosa vi accadra’,
    vero?” Accennai di si con la testa e fu l’ultima cosa che feci. Mi afferro’
    per i capelli e vidi la sua mano alzarsi a taglio verso di me. Un altro colpo
    di karate sul mio collo e per me fu buio totale.

    Quando mi risvegliai, vidi sopra di me la faccia di un uomo e vedevo tutto
    intorno a me che si muoveva

    ” Che e’ successo?” biascicai

    ” Non si sforzi signore. E’ stato vittima di un’aggressione e la stiamo
    portando all’ospedale”

    ” Come avete fatto a trovarmi?”

    ” Una telefonata anonima alla polizia che ci ha avvertiti. Probabilmente i
    suoi aggressori hanno avuto un briciolo di compassione”

    ” Che ora e’?” chiesi, impossibilitato ad alzare il braccio dove avevo
    l’orologio

    ” Le quattro e venti minuti di mattina” rispose l’uomo. Era un paramedico che
    mi stava portando con la lettiga dentro l’autoambulanza. Dovevo essere stato
    svenuto per circa tre ore. L’uomo, aiutato da un suo collega, mi sistemo’
    all’interno della vettura medica che parti’ immediatamente. Ripensai a tutto
    quello che mi era successo e, ancora una volta, mi venne da piangere. Avevo
    dolore dappertutto, ma piangevo soprattutto per l’umiliazione subita. Sara si
    era divertita a picchiarmi ed a umiliarmi in modo totale uccidendo tutte le
    sicurezze che avevo nella mia vita e riducendomi ad un essere frignante e
    pauroso. Alla vista del mio stato mentale, il paramedico si alzo’ da dove era
    seduto e venne vicino a me

    ” Si calmi ora, e’ tutto finito. L’hanno conciata per le feste ma e’ sano e
    salvo”

    ” Sento dolore in tutto il corpo” mi lamentai

    ” Di rotto dovrebbe avere solo il braccio, stia tranquillo. Ora le faccio
    un’iniezione di antidolorifico insieme ad un calmante. L’aiutera’ a riposare.
    Provi anche a dormire, se ci riesce” Sentii l’ago infilarsi nella mia carne
    dopodiche’ chiusi gli occhi nel tentativo di prendere sonno. Per alcuni minuti
    non ci riuscii anche a causa dei forti dolori ma poi il calmante e
    l’antidolorifico dovettero cominciare a fare effetto e mi abbandonai
    finalmente al sonno.

    La dolce e rassicurante faccia di mia sorella Daniela fu la prima cosa che
    vidi al mio risveglio. Mi teneva la mano come quando ero piccolo ed appena
    vide i miei occhi aprirsi si chino’ su di me e mi bacio’ dolcemente sulla
    guancia

    ” Come stai Stefanino? Ce la fai a parlare?”

    ” Tutto sommato sto bene. Ma tu cosa ci fai qui’? Chi ti ha avvertita?” Le
    risposi parlando a voce bassa. I dolori erano intensi, la testa mi faceva male
    e riuscivo a malapena a muovermi. Daniela se ne accorse

    ” Stai calmo, amore, non agitarti. Non avevi documenti. Devono averteli
    rubati. Ma per fortuna ti hanno lasciato il telefonino e l’infermiere che ti
    ha portato all’ospedale ha avuto il buon senso di chiamare col tuo telefonino
    l’ultimo numero che tu hai fatto. Evidentemente, deve essere stata la
    telefonata che mi hai fatto ieri sera per avvertirmi che stavi per arrivare.
    La cena con me, ti ricordi?”

    ” Mi ricordo, stai tranquilla. Non sono rincoglionito”

    ” Dio ti ringrazio. Non puoi capire che paura che ci e’ presa stamattina
    quando quell’infermiere mi ha telefonato. E’ successo pure a te, vero? Quello
    che e’ successo a Mattia intendo” Guardai Daniela con tenerezza. E adesso cosa
    le dicevo? Come potevo raccontarle quello che era successo?

    ” Ma no, di cosa parli. Stavo per montare in macchina dopo aver trascorso la
    serata con Mattia e i suoi amici, quando mi hanno aggredito in quattro”

    ” E perche’ allora ti hanno portato in quel posto isolato? E perche’ ti hanno
    rubato solo il portafoglio senza nemmeno toccare l’orologio che vale cento
    volte di piu’? Senza contare che non ti hanno toccato nemmeno la macchina.
    Stefanino, non me la racconti giusta e nemmeno il poliziotto qui’ di fuori ne
    e’ convinto. Non e’ possibile che durante un’aggressione tu subisca lo stesso
    danno di mio figlio. Ti prego, dimmi cosa e’ veramente accaduto?” Gia’! Il mio
    rolex. L’orologio non era stato toccato e una rapina era quantomeno anomala,
    ma avevo deciso che sarei andato fino in fondo con quella storiella. Ci
    avessero creduto o meno non era importante per me. La cosa essenziale era che
    non avrei messo a repentaglio Mattia. E nemmeno me stesso. Avevo una paura
    folle solo a rincontrare quella ragazza e mi chiedevo come potesse andare
    avanti mio nipote. Lui e i suoi amici erano letteralmente schiavi di Sara e
    non vedevo spiragli di luce in quella situazione. Ma intanto dovevo rispondere
    a Daniela

    ” Probabilmente hanno pensato che fosse un falso e la macchina ha l’antifurto
    satellitare. Sarebbe stato troppo pericoloso per loro. Volevano solo i soldi.
    Non c’e’ altro. Le tue supposizioni sono completamente sbagliate”

    ” Ma perche’ ti hanno portato in quel punto isolato?”

    ” Per darmi una lezione. Ho reagito, ne ho picchiati un paio e mi hanno voluto
    sistemare. Tutto qui'” Daniela sospiro’. Era evidente che non credeva ad una
    parola di quello che le avevo detto e le vidi spuntare una lacrima. L’arrivo
    del medico salvo’ entrambi da quell’imbarazzo. Era un tipo sulla cinquantina,
    alto e magro, con i capelli sale e pepe piuttosto folti. Si presento’

    ” Buongiorno. Sono il dottor Mauro Cristiani, l’ortopedico. Lei e’ Stefano
    Rigoni, non e’ vero?”

    ” Si, esatto” risposi laconicamente

    ” Bene signor Rigoni. Ora le faremo tutti gli accertamenti del caso. Le faro’
    fare una T.A.C. alla testa piu’ che altro per precauzione e poi provvederemo a
    sistemare il suo braccio nella speranza che non ci siano legamenti rotti.
    Vedra’ che tornera’ tutto come prima. In che modo glie l’hanno spezzato? Cosa
    hanno usato quei teppisti?” Lo guardai accennando un lieve sorriso che il
    medico non fu in grado di capire. E cosa avrei potuto dirgli? Che una bella
    ragazza di 19 anni mi aveva massacrato di botte e poi mi aveva spezzato il
    braccio con un colpo di karate?

    ” Non lo so, dottore. E’ tutto confuso. Forse dovevo essere gia’ svenuto”
    mentii

    ” Gia’, forse e’ cosi'”

    ” Potro’ fare ancora pugilato quando saro’ guarito?” Gli chiesi ansioso

    ” Per fare sport e soprattutto un tipo di sport come il pugilato ci vorra’ un
    bel po’ di tempo e molta pazienza. Ma vediamo prima in cosa consiste la
    frattura e dopo ne riparleremo”

    Fui fortunato. Si trattava di una frattura semplice del radio che non aveva
    toccato ne’ legamenti e nemmeno tendini. Mi ingessarono il braccio sinistro e
    dopo due giorni ero a casa. O meglio, a casa di mia sorella che si prese
    carico di ospitarmi, visto che da solo potevo fare ben poco. Vi rimasi per
    dodici giorni, esattamente per il tempo di togliere il gesso e di ritornare a
    casa mia. Durante quei giorni mia sorella mi chiese piu’ volte di dirle cosa
    era veramente accaduto, ma io continuai a raccontarle la mia storiella, la
    stessa storiella che raccontai alla polizia. Feci una denuncia contro quattro
    ignoti, ma mi resi conto perfettamente che nemmeno la polizia credeva a cio’
    che dicevo. Evidentemente, il mancato furto del rolex dava adito a questi
    sospetti e lo stesso poliziotto che si trovava all’ospedale e che m’interrogo’
    per primo, mi chiese se avevo timore di qualche cosa. Ma io ero un cittadino
    modello e dovettero per forza credere a cio’ che avevo raccontato loro.
    Ovviamente, ben piu’ particolare fu il rapporto con mio nipote. Appena ci
    trovavamo da soli, discutevamo su Sara e su come poter uscire da quella
    soluzione, ma non potevamo trovare una soluzione a quell’incubo. Lui era
    naturalmente molto piu’ impaurito di me e mi prego’ di non prendere
    iniziative. Povero Mattia! Io avevo dovuto subire quella pazza per una
    semplice serata mentre lui la subiva da ben otto mesi. Mi racconto’ alcuni
    particolari agghiaccianti, di come lei fosse in grado di picchiarli
    contemporaneamente a tutti e quattro, di come li puniva, delle umiliazioni a
    cui li sottoponeva, ma anche di come lei faceva sesso con loro e di come lui
    aveva imparato a non discutere nessun ordine. Tutto sommato, cosi’ facendo era
    riuscito a limitare di molto i danni. Sara non sembrava tanto interessata a
    picchiarli, avendo dimostrato ampiamente di cosa fosse in grado di fare, ma le
    piaceva soprattutto il lato umiliante ed io ne avevo avuto ampia dimostrazione
    quando ad esempio, mi aveva costretto a respirare la puzza dei suoi peti. Si
    divertiva cosi’ e nessuno poteva fermarla. Gli chiesi naturalmente come fosse
    possibile che una ragazza giovanissima potesse avere una simile forza senza
    nemmeno essere molto muscolosa, ma Mattia alzo’ le spalle. Non sapeva come, ma
    sapeva soltanto che i risultati erano quelli ed erano risultati strabilianti.
    Si, lo sapevo anch’io.

    Tornato a casa mia, tornai anche a lavorare. Avevo lasciato un sacco di lavoro
    indietro e, in fondo, il lavoro mi mancava. Dovevo fare soltanto saltuari
    controlli per verificare che l’osso si saldasse definitivamente e l’ortopedico
    mi assicuro’ che entro qualche mese avrei anche potuto riprendere i miei
    allenamenti, dopo pero’ diverso tempo di riabilitazione.

    Ripresi percio’ ad andare in ufficio in quanto, pur con le complicazioni che
    il mio braccio mi dava, avevo anche ripreso a guidare. Tra le tante cose che
    avevo lasciato in sospeso ce n’era soprattutto una che mi stava molto a cuore.
    Era da tanto tempo che stavo col fiato sul collo ad un nuovo cliente,
    un’importante azienda che ci aveva chiesto di creare una campagna
    pubblicitaria su misura per il suo prodotto e finalmente ero riuscito a
    trovare quella che ritenevo potesse essere l’idea giusta. I giorni di forzato
    stop mi avevano, se non altro, aiutato a concentrarmi su questo probabile
    cliente e su cio’ che lui desiderava. Il giorno stesso che rientrai al lavoro,
    telefonai al responsabile del settore pubblicita’ di quell’azienda elencando a
    grandi linee l’idea che avevo in mente, idea che dovette piacergli in quanto
    mi diede l’opportunita’ di prendere un appuntamento con lui e con sua moglie
    che era la sua collaboratrice, per tre giorni dopo. E quel giorno mi preparai
    scrupolosamente i bozzetti, aiutato dai miei collaboratori ed alle 16 in punto
    entrarono i due. L’uomo era un sessantenne molto giovanile, il classico
    manager, mentre la moglie era notevolmente piu’ giovane, forse una
    quarantenne, comunque in gran forma, bionda, col classico tailleur grigio che
    non le stonava affatto. Con loro avevo soltanto parlato al telefono e dapprima
    facemmo le presentazioni e quindi venne il momento della stesura della mia
    idea che li lascio’ molto soddisfatti. Prima della firma, mancava soltanto il
    classico tocco finale e su questo potevo considerarmi un maestro: la cena e
    fare in modo che, oltre all’idea vera e propria, potessero considerare anche
    il resto molto piacevole, a cominciare proprio dalla mia persona, la mia
    affabilita’, la mia simpatia e, nell’insieme, il mio savoir faire. Mentre i
    miei collaboratori uscivano dal mio ufficio, invitai quindi la coppia in uno
    dei piu’ prestigiosi ristoranti della citta’. Stavo per prendere l’accordo per
    l’ora in cui sarei dovuto andarli a prendere quando il telefono interno
    squillo’. Era Vanessa, la mia segretaria

    ” Dottor Rigoni, sta entrando la sua fidanzata. Ho provato a dirle che lei era
    impegnato, ma non mi ha nemmeno ascoltato”

    ” La mia fidanzata? Ma io non…..” Mi bloccai. Come una furia fece il suo
    ingresso Sara e credo che in quel momento il mio cuore si fosse messo a
    battere all’impazzata e non certo per la sua bellezza. Oh, lei era
    semplicemente deliziosa, con una mini di jeans che metteva in mostra le sue
    gambe veramente molto belle, toniche ed allenate, come avevo avuto, purtroppo
    per me, modo di assaggiare, alla quale aveva abbinato un semplice toppino blu
    e, ai piedi, delle semplici scarpe da ginnastica. Il suo viso era pulito, con
    pochissimo trucco a parte, come la volta scorsa, un bel lucidalabbra e i suoi
    capelli erano sciolti. Una mise adattissima ad una ragazza della sua eta’.
    Malgrado la definissi molto carina, non era comunque la sua bellezza a farmi
    battere fortemente il cuore, bensi’ la paura. La vidi avanzare verso di me,
    incurante dei miei due ospiti e la paura si impadroni’ letteralmente di me.
    Avevo ancora in mente e davanti agli occhi quello che mi aveva fatto, la sua
    forza straordinaria, la sua bravura che avevo riscontrato solo in certi film
    d’azione e che invece lei mi aveva fatto assaggiare sulla mia pelle, la sua
    velocita’ nell’esecuzione dei colpi, tutte cose che messe insieme la rendevano
    praticamente invincibile. Rimasi di sasso, incapace di fare il piu’ piccolo
    dei movimenti, pregando soltanto il Signore che non volesse picchiarmi di
    nuovo. Continuava ad avanzare verso di me, mettendo in mostra un sorriso a 32
    denti. Chiusi gli occhi, ma Sara prese invece le mie mani stringendole
    lievemente tra le sue per poi lasciarle dopo pochi secondi e per buttarmi le
    braccia al collo dandomi un casto ma invitante bacio sulle labbra

    ” Tesoro, quanto mi sei mancato. Chi sono questi due?” Rimasi un momento
    interdetto. Cosa era tutta quella pagliacciata? Non sapevo come comportarmi e
    Sara mi venne in aiuto “Allora amore, non presenti la tua fidanzata a questi
    signori?” La mia fidanzata? Quella era il mio incubo, altro che fidanzata.
    Cercai di stare al suo gioco. Cosa aveva in mente lo sapeva solo Dio

    ” Questi signori sono due probabili clienti, Sara” dissi cercando di rimanere
    calmo “Lui e’ il dottor Davide Francini e la signora e’ sua moglie Claudia”

    ” Molto piacere, io sono Sara, la fidanzata di Stefano. Non vi ha raccontato
    niente di me?”

    ” Veramente no, signorina” rispose cortesemente Claudia Francini”

    ” Oh che antipatico che sei Stefano. Non so come faccia ad amarti. Va beh,
    c’e’ poco da dire. Stiamo insieme di nascosto da quattro anni, da quando ne
    avevo 15, ma solo da pochi mesi il nostro amore e’ alla luce del sole” Oh mio
    Dio, ma cosa aveva intenzione di fare quella pazza? Mi stava facendo passare
    per uno che si metteva con le ragazzine. Il dottor Francini e sua moglie mi
    guardarono infatti in modo strano e Sara prosegui’ “Quindi non vi ha detto
    come mi ha rimorchiata? Mi aveva promesso di farmi fare una campagna
    pubblicitaria per una gomma da masticare ed io avevo solo quindici anni, ero
    cosi’ ingenua e ci sono stata. Lei non l’avrebbe fatto signora? Con un
    bell’uomo come il mio Stefano?” Di male in peggio. Ero sull’orlo di una crisi
    di nervi. I miei due ospiti sorrisero nervosamente, desiderosi di andarsene al
    piu’ presto possibile ed io cercai di trovare una via d’uscita a quella
    situazione che stava mettendo in grande imbarazzo sia me che i miei due ospiti

    ” Signori, forse e’ meglio che vi lasci ai vostri impegni. Passero’ a
    prendervi alle 19.30 in punto al vostro albergo” Davide Francini mi osservo’
    alzando un sopracciglio. Era evidente che la sua stima nei miei confronti era
    scesa di parecchio. Per non parlare di sua moglie poi. Un uomo di oltre
    trent’anni che si metteva con una quindicenne non doveva essere proprio il
    massimo, anche se adesso Sara era maggiorenne. Pure due moralisti mi dovevano
    capitare. L’uomo mi strinse la mano

    ” Si, forse è meglio che noi andiamo, dottor Rigoni. La lascio alla sua ehm…
    giovane fidanzata. A stasera”

    ” A stasera” ribadii salutando anche la moglie. Dio, mi sarei messo la testa
    sotto un mattone per la vergogna. I due intanto, salutarono anche Sara ed
    uscirono dal mio ufficio piuttosto sollevati. Mi ritrovai da solo con Sara,
    come nel peggiore dei miei incubi. Avevo pensato che tutto fosse terminato con
    la lezione durissima che mi aveva dato, con quel pestaggio che avrei ricordato
    per il resto della mia vita ed invece era di nuovo di fronte a me, addirittura
    nel mio ufficio, ostentando il suo solito sorriso beffardo. Ero terrorizzato.
    Cos’altro avrebbe potuto farmi?

  • Schiavolc

    Member
    Luglio 7, 2023 at 9:05 pm in reply to: IL DIAVOLO SI CHIAMA SARA

    Sara si mise in testa al nostro gruppetto e la seguimmo in fila indiana, io
    dietro di lei e Mattia per ultimo, quasi a cercare di stare alla larga da me.
    Entrammo.

    La sala in questione era molto ampia, con una decina di biliardi quasi tutti
    occupati. Sara si rivolse a Roberto, uno degli amici di mio nipote

    ” Vai a prendere uno dei due tavoli liberi. Svelto, prima che occupino anche
    quello” Roberto si diresse verso il grosso bancone dietro il quale si trovava
    un uomo calvo e piuttosto corpulento. Doveva essere lui il proprietario o
    comunque il gestore. Guardai Sara un po’ meravigliato, ma ormai nemmeno tanto

    ” I tuoi amici fanno sempre quello che tu dici loro senza mai controbattere?”

    ” Ti meraviglia? Si, fanno sempre quello che io dico loro” Era proprio da
    prendere a schiaffi. Prima lei poi quei quattro coglioni che le facevano da
    cavalieri serventi. Li osservai. Eppure, erano tutti dei bei ragazzi che
    potevano avere ragazze anche molto carine senza nessun problema. Possibile che
    si fossero cosi’ rimbecilliti? La schiettezza di Sara era talmente abnorme che
    cominciavo a pensare cose strane. Mi veniva in mente di tutto, che li avesse
    sedotti ad esempio e che poi li tenesse sul filo del rasoio facendo di loro
    una specie di prigionieri del sesso. Certo, rimaneva il mistero delle percosse
    che era la cosa piu’ importante da scoprire, ma anche questo mistero mi stava
    intrigando. E soprattutto mi stava innervosendo nel vedere Mattia come un
    ebete accondiscendente. Intanto, Roberto torno’

    ” Abbiamo il biliardo numero nove, Sara”

    ” Bene! Tu hai detto di essere un campione, vero?” Sara si era rivolta verso
    di me sorridendo sardonicamente. Un campione non lo ero, ma me la cavavo,
    anche se ormai da qualche anno non prendevo una stecca in mano, ma quel
    sorriso mi stava mettendo in difficolta’

    ” Mi piacerebbe fare una partita con mio nipote” dissi, evitando di rispondere
    alla sua domanda

    ” Mattia non gioca. Se vuoi giocare, fallo contro di me. Oppure te la stai
    facendo sotto” Stavo cominciando ad incazzarmi sul serio

    ” E chi sei tu per sapere se lui vuole giocare o meno?”

    ” Domandaglielo. Anzi, lo faccio io. Mattia, vuoi giocare contro tuo zio?”
    Vidi per un attimo lo sguardo di mio nipote cercare quello della ragazza,
    quasi come se stesse cercando delle risposte che da solo non avrebbe saputo
    darmi e poi si rivolse verso di me

    ” Veramente no, Sara. Io non gioco. Mi dispiace zio” Aveva parlato con un filo
    di voce. Possibile che tutto quello che dicesse Sara andasse bene? Andai verso
    di lui e lo presi per un braccio

    ” Vieni Mattia, allontaniamoci un po’. Devo assolutamente parlarti”

    ” No zio. Non devo dirti niente” Sara ci guardo’ sorridente

    ” Vai Mattia. Tuo zio vuole parlarti. Magari saranno cose da uomini. Quanto a
    te, Stefano, io intanto faccio dei tiri di prova in attesa che tu ti degni di
    giocare contro una ragazza. Se ne hai le palle” Come d’incanto, appena la
    ragazza aveva terminato di parlare, mio nipote si lascio’ trascinare lontano
    da Sara e dagli altri ragazzi e, appena fummo abbastanza lontani, lo
    apostrofai

    ” Ma insomma Mattia. Ma che cazzo avete tutti e quattro? Sembrate cagnolini
    che scodinzolano aspettando una carezza della loro padrona. Degli altri tre
    m’interessa fino ad un certo punto, ma tu sei mio nipote e non riesco a
    sopportare che tu faccia tutto quello che lei ti dice. Ma che razza di uomo
    sei? Possibile che ti sia preso una cotta cosi’ grande da non farti vedere in
    che modo ti comporti? Se tutti e quattro vi siete innamorati di Sara,
    mettetela alle strette e ditele chi di voi debba essere il prescelto e se non
    fossi tu, chi se ne frega. E’ vero, è carina, molto carina, direi che e’
    proprio una bella fighetta, ma ce ne sono in abbondanza di tipe del genere. Tu
    sei un bel ragazzo, non dovresti avere problemi in tal senso. E poi e’ troppo
    sboccata. Insomma, questa e’ l’idea che mi sono fatta, se non e’ cosi’
    spiegami cosa sta accadendo perche’ mi sta dando fastidio vedere come ti
    comporti al suo cospetto” Avevo parlato tutto d’un fiato e Mattia mi aveva
    ascoltato senza interrompermi a testa bassa, poi alzo’ la testa e mi fisso’
    negli occhi

    ” Se ti da fastidio il mio comportamento, non so che farci. Anzi, sai che ti
    dico? Che e’ meglio che te ne vada zio Stefano” Lo presi di nuovo per un
    braccio

    ” Ma come ti permetti di rivolgerti a me in questo modo. Se sono venuto con
    voi e’ perche’ ti voglio bene e voglio scoprire i motivi del tuo
    comportamento, non perche’ voglio trascorrere una serata con dei ragazzi poco
    piu’ che adolescenti. Tua madre mi ha detto tutto, mi ha detto che ci sono dei
    ragazzi che regolarmente te le danno di santa ragione e io voglio sapere chi
    sono” Mattia indietreggio’ di qualche metro, mentre il suo volto cambiava
    espressione. Sembrava quasi che stesse per piangere. Quel ragazzo era
    terrorizzato

    ” Vattene zio Stefano, vattene per favore. Lo dico anche per te. Ti prego” Lo
    abbracciai teneramente

    ” Chi cazzo ti ha terrorizzato in questa maniera? Mattia, devi confidarti con
    me”

    ” E’ meglio che rientriamo. Finiamo questa maledetta serata e poi non
    intrometterti piu’ nella mia vita privata. Sono abbastanza grande da sapermela
    cavare da solo” S’incammino’ verso i suoi amici ed io lo seguii
    malinconicamente. Non ero riuscito a sapere nulla se non che mio nipote era
    letteralmente terrorizzato da qualcuno. Sara intanto era chinata sul biliardo
    con la stecca in mano. Sembrava saperci fare, almeno considerando la sua
    postura e la presa sulla stecca. Si volto’ verso di me e poi si mise seduta
    sul bordo del biliardo

    ” Allora? Finito il consiglio di famiglia?” Feci cenno di si e lei prosegui’
    “E allora facciamoci questa partita”

    ” D’accordo, facciamoci sta benedetta partita” acconsentii

    ” Cosa ci giochiamo?”

    ” Ma cosa vuoi giocarti! Non mi sembra il caso” ribattei. Lei si alzo’ e venne
    vicinissima a me, a pochi centimetri. La sua bocca era pericolosamente vicina
    alla mia e il suo profumo era intenso e inebriante

    ” Non hai le palle, vero? Hai paura di perdere con una ragazza” Mi allontanai
    per non stare troppo vicino a lei. Quella ragazza era una diavolessa
    tentatrice ed io non avevo alcuna intenzione di cadere nella sua rete, ma non
    potevo neanche farle credere che mi mancasse il coraggio di scommettere
    qualcosa sulla mia abilita’ di giocatore di biliardo

    ” D’accordo. Se questo e’ quello che vuoi, giochiamoci qualcosa”

    ” Perfetto! Ho un’idea, allora. Chi vince potra’ chiedere qualsiasi cosa a chi
    perde”

    ” Mi sembra una stronzata”

    ” Tranquillo! Non intendevo soldi o cose del genere. Parlo di azioni, di
    gesti. Se dovessi vincere te, potrai chiedermi qualunque cosa, anche di
    portarmi a letto ed io potro’ fare altrettanto. Credo che ti obbligherei a
    portarmi in giro sulla tua Mercedes per tutta la notte. Che ne dici?” Rimasi
    interdetto. Da una parte mi dicevo che non avrei potuto perdere contro una
    ragazzina, ma se avessi perso? Cosa poteva chiedermi quella pazza? Non credevo
    ad un giro in macchina, ma non potevo tirarmi indietro ed accettai.
    Sicuramente avrei vinto io e non sarebbe sorto alcun problema

    ” Ok. A cosa vuoi giocare?”

    ” All’americana. Ci sai giocare?”

    ” E’ il gioco che preferisco” Presi anch’io una stecca, ne coprii la punta col
    gesso e poi misi il triangolo a circondare le palle. Quindi, le feci cenno con
    la mano che le avrei concesso la sbocciata. Sara sboccio’, senza mandare
    alcuna palla in buca e quindi tocco’ a me. Chiamai la palla numero sette in
    buca d’angolo e ce la mandai. Sara sorrise

    ” Bene! Le tue sono dal due all’otto e le mie dal nove al quindici” Poi si
    rivolse ad Andrea “Vai a prendere due birre e falle mettere sul conto.
    Paghera’ chi perde” Ancora una volta, il ragazzo si alzo’ e fece quanto Sara
    gli aveva ordinato, senza obiettare alcunche’. Quella ragazza sembrava avere
    un potere enorme nei confronti di tutti e quattro i ragazzi e questo mi faceva
    innervosire. Io ero sempre stato abituato a trattare le donne dall’alto in
    basso, le avevo fatte innamorare e le avevo lasciate quando mi avevano
    stancato. Non ero un maschilista vero e proprio, ma volevo essere io ad avere
    in mano la situazione e soprattutto il predominio con l’altro sesso. Ma
    intanto, la partita, dopo il mio brillante avvio, si stava per mettere male.
    Sara era molto brava ed ogni palla che mandava in buca l’accompagnava con un
    sorriso di scherno nei miei confronti. Una dietro l’altra, le sua palle
    finivano regolarmente nelle buche da lei indicate e si ritrovo’ con l’ultima
    palla mentre a me ne mancavano ancora tre. Non potei fare a meno di ammettere
    che lei fosse di un altro pianeta, rispetto a me. Forse la mia mancanza di
    allenamento avevano acuito questa differenza tra di noi, ma sicuramente era
    piu’ brava di me, riuscendo a fare colpi che non appartenevano al mio bagaglio
    di giocatore di biliardo. Sara osservo’ la posizione della sua ultima palla,
    bevve un altro sorso di birra e poi si rivolse ai suoi amici

    ” Osservate come zio Stefano perde la partita. La uno di calcio al centro” La
    osservavo, ammaliato e nello stesso tempo infastidito da quella sua sicurezza.
    La palla gialla, quella contrassegnata dal numero uno, colpita dal pallino
    bianco con maestria da Sara, lentamente si accomodo’ nella buca centrale.
    Aveva vinto la partita

    ” Ok, devo dire che sei veramente brava” ammisi ” Sono pronto a pagare la
    scommessa. Dove vuoi andare?” Lei mi guardo’ col suo stramaledetto sorriso

    ” Intanto, comincia col pagare il tavolo e le birre. E’ quello il primo passo
    che spetta al perdente. Noi ti aspettiamo fuori”

    Pagai il conto. Avrei voluto pagare cento volte quella misera cifra ma non
    aver perso con Sara. Ed invece si era dimostrata superiore a me. Nettamente. E
    non ci stavo proprio a perdere con una ragazzina di quasi la meta’ dei miei
    anni. Tutto quanto mi aveva innervosito non poco, senza considerare il mistero
    che incombeva su mio nipote. Uscii dalla sala da biliardo con la speranza che
    Sara volesse veramente essere scarrozzata da una parte all’altra della citta’
    e non avesse altre brutte idee in testa. Ma purtroppo, il mio sesto senso non
    mi ingannava. Sia lei che i quattro ragazzi si erano allontanati di diversi
    metri e si erano piazzati nel parcheggio antistante la sala, dove avevamo
    lasciato le nostre auto. Si era fatta ormai mezzanotte e mezza e non c’era
    nessuno in giro, a parte noi. Sara mi fece cenno con il braccio di
    raggiungerla. Da lontano, potei notare come il suo corpo fosse decisamente
    armonioso e strutturato molto bene. Se non fosse stato per quelle spalle
    troppo larghe da nuotatrice, lo avrei potuto definire perfetto, almeno
    all’apparenza. Non mi piacevano infatti le donne troppo sportive e preferivo
    quelle con le curve piu’ armoniose oppure quelle longilinee sul tipo delle
    modelle, ma a parte i miei gusti personali era veramente una gran bella
    ragazza. Stronza, ma decisamente attraente. Mi avviai in quella direzione e
    Sara mi accolse col suo solito sorriso ironico. Mi venne di nuovo vicinissima.
    Potevo sentire il suo respiro in quel modo. Mi prese la giacca con la sua mano
    destra

    ” Sei pronto a pagare il tuo debito?”

    ” Ok. Dimmi dove vuoi andare e ti ci portero'”

    ” Voglio andare a casa tua” Mi allontanai da lei

    ” No Sara, avevi detto che se avessi vinto avresti voluto soltanto fare una
    passeggiata” Lei si riavvicino’ prendendomi le mani tra le sue. Ormai avevamo
    le nostre bocche ad un centimetro

    ” Ho cambiato idea” disse semplicemente e poi sentii le sue labbra. Erano
    calde, dolcissime e mi piacevano. Molto piu’ di tutte le altre donne che avevo
    avuto. Erano vive e piene di desiderio. La sua lingua esplorava sapientemente
    la mia bocca e per qualche secondo mi abbandonai a quel bacio ma poi mi resi
    conto che non potevo. Lei era troppo piccola per me e c’era mio nipote a
    guardarmi. Non potevo proprio. Le diedi una leggera spinta e l’allontanai

    ” E’ sbagliato, Sara. Me ne vado a casa”

    ” Non fare lo stronzo. Lo so che ti piaccio. Pensi che non mi sia resa conto
    che avevi gia’ il cazzo dritto. Oooops ho detto di nuovo cazzo”

    ” Ma che razza di ragazza sei? Hai un linguaggio da scaricatore di porto e
    stai cercando di circuirmi davanti a tutti i tuoi amici. Sfogati con loro se
    proprio non riesci a tenerti le mutandine indosso” sbottai

    ” E chi ti dice che abbia le mutandine? Senti Stefano piantiamola. Hai fatto
    la figura dell’uomo per bene che non se la sente di andare con la Lolita di
    turno, ma adesso e’ giunto il momento che tu ti arrendi all’evidenza. Io
    voglio scopare con te e tu non vedi l’ora di farlo con me, percio’ basta!
    Prendi le chiavi della macchina e andiamo a casa tua” La guardai con rabbia

    ” Adesso basta lo dico io. Tu non mi dai ordini, e’ chiaro? Non sono uno dei
    tuoi amici che tratti come fantocci. Vattene con loro e non mi rompere piu'”
    Cercai le chiavi della mia macchina nella tasca dei pantaloni e tolsi
    l’antifurto per potermene andare al piu’ presto quando sentii la voce di Sara

    ” Tu non vai da nessuna parte, brutto figlio di puttana. Tu mi hai rifiutata?
    Tu non hai nemmeno la piu’ pallida idea di cosa hai fatto. Nessuno puo’
    rifiutarmi. Io ti faro’ pagare caro quest’affronto. Ti giuro che ti faro’
    piangere sangue. Non volevo farlo con te. Non volevo essere con te come sono
    stata con loro, ma adesso tu la pagherai” Mi voltai. Aveva alzato il tono
    della voce ed il suo sorriso era scomparso. Ora aveva un ghigno che mi fece
    quasi rabbrividire e i suoi occhi sembravano spiritati. Osservai anche i
    quattro ragazzi che fino a quel momento erano stati in silenzio. Sembravano
    preoccupati, molto preoccupati. No anzi, erano impauriti. Che diavolo stava
    succedendo? Stavo pensando se rispondere ed eventualmente cosa dire a Sara,
    quando lei mi precedette. Si rivolse prima a me

    ” Scommetto che era tutta una finzione la tua. Volevi stare con noi per
    scoprire cosa succede a tuo nipote, vero? Ora lo scoprirai perche’ prima di
    riprendermela con te lo faro’ con lui. Osserva cosa succede al tuo adorato
    Mattia” Volto’ la testa e guardo’ in direzione dei ragazzi ” Mattia, vieni
    immediatamente qui'” Mio nipote la guardo’ terrorizzato

    ” Ti prego Sara, non ho fatto niente” Sembrava implorarla ed io non capivo
    cosa stava accadendo. Perche’ Mattia non si faceva risentire e non la mandava
    a quel paese?

    ” Ti ho detto di venire qui'” ripete’ la ragazza con tono deciso. Stavolta era
    un ordine vero e proprio e non una richiesta fatta con tono deciso come aveva
    fatto fino ad allora. Mattia, a malincuore, le obbedi’, facendo un passo alla
    volta, molto lentamente. Sembrava che stesse andando al patibolo ed io lo
    osservavo piu’ incazzato che mai, ma quasi ipnotizzato dall’evolversi di
    quella strana situazione. Sara si era messa con le mani sui fianchi,
    attendendo che mio nipote arrivasse davanti a lei ed appena gli fu di fronte
    gli afferro’ il polso con la sua mano sinistra e con la destra lo colpi’ con
    un manrovescio terribile

    ” Lo sai che non mi piace ripetere lo stesso ordine per due volte” Disse a mio
    nipote tranquillamente, mentre la testa di Mattia si era girata come quella di
    un pupazzo dopo quello sganassone e mentre una grossa ferita si era aperta sul
    suo labbro superiore. Tra la mia meraviglia, il ragazzo si mise a piangere
    come un bambino

    ” Per favore Sara, ti prego, non picchiarmi” Pazzesco! Non potevo credere ai
    miei occhi. Non poteva essere vero quello che stavo ascoltando. Mi avvicinai a
    loro. Avevo intenzione di gettarmi addosso a quella pazza e di prenderla a
    sberle e solo il timore di una denuncia per violenza nei confronti di una
    giovane donna mi trattenne. Guardai mio nipote con disappunto

    ” Che cazzo fai Mattia? Ribellati! Come puoi accettare una cosa simile?
    Prendila tu a sberle questa puttanella” Sara si volse verso di me

    ” Pagherai anche per avermi chiamata puttanella, stronzo” Poi guardo’ di nuovo
    Mattia, sorrise e lo schiaffeggio’ nuovamente con violenza quindi, con il
    braccio che teneva il polso del ragazzo, effettuo’ una lieve torsione.
    Stavolta Mattia urlo’ dal dolore e Sara lo costrinse in poco tempo ad
    inginocchiarsi di fronte a lei

    ” Hai capito adesso perche’ questo cazzone di tuo nipote e gli altri tre
    cazzoni tornano a casa pesti? Perche’ prendono un sacco di botte da me” Era
    troppo! Non capivo perche’ Mattia e gli altri ragazzi non si ribellavano, non
    capivo perche’ accettavano persino le percosse da parte di una ragazza. Cosa
    c’era sotto? Decisi di intervenire io stesso. Al diavolo un’eventuale
    denuncia. Mi avvicinai a Sara e le presi il braccio col quale stava
    costringendo Mattia in ginocchio nel tentativo di toglierlo e di liberare mio
    nipote. Credevo che la cosa fosse di una facilita’ estrema e non forzai la
    presa, ma mi accorsi che non riuscivo a farle aprire quella presa. Non era
    possibile. Ero forte e robusto, allenato e soprattutto maschio, non potevo
    trovare tutte quelle difficolta’. Nel frattempo, Sara si era voltata verso di
    me sorridendo

    ” Ti meraviglia, stronzone? Te l’avevo detto che non hai nemmeno la piu’
    pallida idea di cosa hai fatto” Mi meravigliava? Ero praticamente sconvolto.
    Le afferrai la mano con tutte e due le mie, ma la situazione non cambiava. Non
    riuscivo a fare nulla se non a farla ridere di piu’. Indietreggiai di qualche
    metro guardandomi le mani con nervosismo, mentre Mattia ormai era in preda ad
    una crisi di pianto vera e propria. Pregava Sara di smetterla, che lui non
    aveva fatto nulla e che l’idea di aggregarsi a loro era stata mia e che non
    aveva mai detto niente a nessuno. Malgrado tutto quello che stavo osservando e
    che stavo vivendo sulla mia pelle, ancora non riuscivo a comprendere bene.
    Perche’ non ero riuscito a farla smettere? Forse le avevo preso la mano nel
    modo sbagliato, ma perche’ Sara era cosi’ sicura di se stessa? Mi guardai
    intorno cercando una risposta che non potevo trovare, anche se ormai era tutto
    evidente. Lei intanto mollo’ la presa su Mattia

    ” Alzati, cazzone” gli ordino’ e mio nipote, ancora piangente, le obbedi’ ma
    appena lo fece, Sara si giro’ su se stessa e, con uno stile inappuntabile,
    forse di karate o forse di qualche altra arte marziale, lo colpi’ in pieno
    petto con un calcio mandandolo diversi metri lontano a sbattere contro una
    delle macchine parcheggiate. Corsi verso di lui. Era sofferente ma sveglio e
    gli poggiai il mio braccio sotto la sua testa per sollevarla

    ” Oddio santo, Mattia, come stai? Rispondimi, ti prego” Lui mi guardo’ con
    quello sguardo dolce che conoscevo perfettamente

    ” Vattene, zio Stefano. Vattene! Forse sei ancora in tempo. Chiedi perdono a
    Sara e forse lei ti lascera’ andare e la tua vita non diventera’ un inferno
    come la nostra” Una rabbia enorme s’impadroni’ di me. Posai con delicatezza la
    testa di Mattia sull’asfalto e mi diressi verso Sara. Non m’importava piu’ che
    lei fosse una ragazza. Faceva karate? Bene, io facevo pugilato ed ero un uomo.
    Mi avvicinavo a lei pensando solo che volevo farle del male, volevo farla
    piangere come aveva fatto lei con mio nipote ma, quando mi trovai a poco meno
    di un metro da lei, tutta la mia baldanza si sgretolo’. Lei mi attendeva con
    le mani sui fianchi e col suo sorriso ironico

    ” Ancora non hai capito un cazzo, vero zio Stefano? Beh, e’ giunto il momento
    che tu mi conosca” Tolse le sue mani dai fianchi e avanzo’ verso si me. Non
    sapevo come affrontarla. Se fosse stato un uomo l’avrei preso a pugni ma, lei
    era una ragazza, una bellissima ragazza. L’avrei affrontata solamente con la
    mia forza fisica stando attento a non incappare in qualche colpo del suo
    karate. Sara mi lascio’ fare e ci prendemmo le mani incrociando le nostre
    dita, come nel piu’ classico dei combattimenti di lotta libera. Pensai che, a
    quel punto, tutto sarebbe stato semplice, dimenticandomi di come non fossi
    riuscito a farle perdere la presa su Mattia pochi secondi prima. Intendevo
    stringerle le dita piegando i miei polsi e farle provare dolore,
    costringendola ad inginocchiarsi ed iniziai a stringere, ma Sara non recedeva
    di un millimetro e, soprattutto, quel suo maledetto sorriso non accennava a
    diminuire. Cominciai a spingere, mettendoci tutta la mia forza, ma le sue
    braccia rimanevano nella stessa posizione

    ” Cominci a capire, zio Stefano? Cominci a capire che io sono molto piu’ forte
    di te? Il tuo cervellino ha compreso quali sono le mie potenzialita’? No?
    Bene! Ora te ne faro’ vedere una minima parte” Il suo sorriso scomparve ed
    inizio’ a far leva. Cominciavo a capire. La sua forza era incredibile. Cercai
    di indietreggiare per offrirle piu’ resistenza, ma le sue dita si erano
    strette a tenaglia sulle mie ed iniziavo a sentire un dolore incredibile. Mi
    dicevo che non era possibile, che non poteva essere reale quello che stavo
    vivendo, ma il dolore che Sara mi faceva provare era vero, intenso e non mi
    raccapezzavo. Scivolavo pian piano a terra, costretto dalla sua morsa e non
    potevo fare nulla. Mi ritrovai in ginocchio al suo cospetto e Sara mi lascio
    la mano sinistra, quella che lei teneva con la sua destra, mentre con l’altra
    continuava a fare pressione costringendomi in quella posizione. Aumento’ la
    sua pressione e dovetti arcuare la mia schiena non riuscendo in alcun modo a
    contrastarla. Dopo qualche secondo che mi parve eterno, la sua presa sembro’
    allentarsi ed io cercai di approfittarne per rialzarmi ma, appena provai a
    farlo, la sua mano ricomincio’ a stringere come prima

    ” In ginocchio, cazzone e bacia i miei piedi”

    ” Vaffanculo” le dissi facendo leva sul mio orgoglio e per tutta risposta mi
    arrivo’ uno schiaffo tremendo dato con la sua mano libera che non mi fece fare
    un capitombolo soltanto perche’ lei continuava a tenermi fermo con l’altra sua
    mano, mano che improvvisamente si strinse ancora piu’ a tenaglia sulla mia
    facendomi urlare dal dolore. Ormai, la mia mente era completamente offuscata,
    l’impossibilita’ di fare qualsiasi movimento era psicologicamente
    insopportabile, cosi’ come era insopportabile l’idea che una ragazza che
    pesava almeno venticinque chili meno di me potesse essere in grado di fare
    tutto questo. Eppure, ci riusciva con una facilita’ disarmante, a dispetto di
    ogni logica

    ” Ora aumento pian piano la mia pressione fino a spezzarti il braccio, a meno
    che tu mi dirai che sei pronto a baciare i miei piedi. Ti conviene sbrigarti
    ad accettare” La sua voce era calma, sempre intrisa di quell’ironia che aveva
    abbandonato solo nel momento in cui l’avevo rifiutata. Oh Dio, fossi potuto
    tornare indietro nel tempo! Avrei fatto l’amore con lei tutta la notte, avrei
    dato un calcio a tutte le remore che avevo avuto ed invece ero li’, in
    ginocchio ai suoi piedi, ancora incapace di credere a quello che stavo
    vivendo. Come aveva detto, inizio’ a stringere ancora di piu’. Lottavo con
    tutte le mie forze, ma ero incapace di alimentare una qualsiasi opposizione
    malgrado mi aiutassi anche con la mia mano libera ed il dolore era sempre piu’
    consistente. Il braccio cominciava a girarsi e mi resi conto che non potevo
    fare nulla. Urlai

    ” Lo faro’, Sara, lo faro’. Ti bacero’ i piedi, ma basta, ti prego”

    ” Lo vedi cazzone? Era soltanto una questione di tempo. Comunque, per te io
    sono <signorina Sara>. Non trovi giusto che tu mi porti il rispetto che
    merito?” Ero stordito, ma per interrompere quel dolore avrei fatto qualsiasi
    cosa

    ” Bacero’ i suoi piedi, signorina Sara, ma per favore, basta” Il mio orgoglio
    era ormai del tutto scomparso. Per la prima volta nella mia vita, mi arrendevo
    completamente. Non l’avevo fatto mai, sia nella vita di tutti i giorni,
    lottando con accanimento per arrivare ad avere un buon lavoro ed un ottimo
    stipendio, sia con le donne, riuscendo sempre a conquistare quella che io
    volevo avere, sia nello sport. Avevo perso a volte, ma sempre con l’onore
    delle armi e sempre con la voglia di rivincita, ma quella ragazza mi aveva
    annullato completamente in pochi secondi. La sua superiorita’ era stata
    talmente schiacciante che non avrei potuto fare a meno di ammetterlo con me
    stesso. Sarei voluto essere il piu’ lontano possibile da quel sorriso
    sardonico e da quelle mani d’acciaio. Come poteva una ventenne avere una
    potenza del genere? Una ragazza filiforme, non magra ma tutt’altro che grossa?
    Era una cosa inspiegabile. Le sue spalle leggermente piu’ larghe del normale
    non bastavano a fornire una spiegazione plausibile. Ma non era certo quello il
    momento di cercare di capire. Aspettavo che Sara accettasse le mie scuse e la
    mia sottomissione. Solo questo contava. La osservavo dal basso in alto, con lo
    sguardo implorante e finalmente lei fermo’ la sua pressione, pur rimanendo
    sempre con la sua mano stretta intorno alla mia. Una mano piccola, molto
    femminile ma che sembrava non avere limiti di potenza. Da quel momento, il
    dolore inizio’ ad essere piu’ sopportabile e Sara mi afferro’ per i capelli
    costringendomi a guardarla di nuovo

    ” Ma che bravo, zio Stefano. Lo vedi che con le buone maniere si ottiene
    tutto? Ed ora slaccia la mia scarpina destra e bacia il piede” Con l’unica
    mano a mia disposizione, riuscii a slacciarle il sandalo ed iniziai a baciarle
    il piede. Che umiliazione! Mi sembrava assurdo che proprio io stessi facendo
    una cosa del genere, ma purtroppo non era finita. Dopo averle baciato ogni
    piu’ piccola parte del suo piede, passai all’altro sandalo, credendo di aver
    terminato, ma lei mise il suo piede nudo completamente sulla mia faccia

    ” Oh no mio caro. Ancora non sono soddisfatta. Succhia per bene tutte le dita,
    altrimenti…..” Accompagno’ l’ultima parola aumentando la sua pressione sulla
    mia mano e sentii il braccio che si torceva in modo innaturale. Urlai di nuovo
    dal dolore

    ” Lo faccio signorina Sara, lo faccio. Per favore…..” Afferrai di nuovo il
    suo piede e succhiai le sue dita come lei mi aveva ordinato e il braccio
    torno’ ad avere una posizione quasi naturale. Ripetei l’operazione con l’altro
    piede e poi rimasi in trepidante attesa. Ed ora? Mi avrebbe lasciato andare?
    Sembrava proprio di si perche’ finalmente lei mi lascio’ e mi ordino’ di
    alzarmi, cosa che feci con grande fatica, massaggiandomi il braccio
    indolenzito e le dita della mano completamente intorpidite. Non sapevo cosa
    fare mentre lei si avvicino’, come sembrava fosse una sua abitudine, a
    pochissimi centimetri da me

    ” Sei sconvolto, povero Stefano? Pensa a quanto sei stronzo. In questo momento
    potevamo stare a rotolarci sul tuo letto a farci una magnifica scopata ed
    invece mi hai costretta a scoprire il mio piccolo segreto. Che te ne pare? Sei
    sconvolto, vero? Oh certo, scommetto che ti domandi come sia possibile che una
    ragazza di diciannove anni come me possa avere una forza fisica nettamente
    superiore a quella di uno stallone come te. Eppure e’ cosi’, mio caro. E non
    solo. Sono abilissima nelle arti marziali, come hai potuto notare dal modo in
    cui ho colpito il tuo nipotino. Povero Mattia. Pero’ non preoccuparti per lui,
    l’ho appena toccato e posso garantirti che non subira’ conseguenze. Fino a che
    loro faranno tutto quanto io ordino, non li ammazzero’ di botte. Pero’ e’ un
    vero peccato che tu mi abbia rifiutata. Non puoi capire quanto tu mi attizzi e
    non e’ detto che prima o poi io ti scopi, ma prima io faro’ diventare la tua
    vita un inferno” Mi prese dietro al collo e mi spinse contro le sue labbra.
    Dio che idiota ero stato. Ancora una volta il bacio mi era piaciuto
    immensamente ed aveva pienamente ragione. Se non mi fossi fatto tutti quegli
    scrupoli, adesso staremmo a fare sesso e avrei trascorso tutto un’altro tipo
    di serata

    ” Hai ragione Sara, ricominciamo daccapo. Hai ragione tu, ti desidero e sono
    stato uno stronzo. Ma era solo una questione di differenza di eta’ e temevo di
    fare uno sgarbo a questi ragazzi, ma in realta’ tu mi piaci immensamente” Le
    avevo detto la verita’, ma avevo anche la speranza di terminare quest’incubo
    ma sentii la sua mano stringersi sul retro del mio collo e di nuovo un dolore
    tremendo avviluppare l’intero mio corpo

    ” Troppo tardi, cazzone. Ora ti riempio di botte. Per prima cosa ti avevo
    detto di rivolgerti a me chiamandomi <signorina Sara>. Non l’hai fatto e
    questa e’ gia’ una bella scusa per dartele di santa ragione. Ma forse ti avrei
    picchiato lo stesso. Lo sai? Mi piace tanto picchiare i maschi, vedere la
    meraviglia sul loro volto e distruggere completamente il loro orgoglio. Mi
    eccita. Ci trovo lo stesso piacere di una bella scopata. Oh scusa se continuo
    ad essere sboccata, ma proprio non ci riesco ad essere la signorina per bene
    che tanto piacerebbe a te e ai miei genitori” Mi lascio’ il collo, ma proprio
    mentre si stava mettendo in posa, uno dei ragazzi, piu’ precisamente Roberto,
    la fermo’

    ” Signorina Sara, sta uscendo gente dalla sala biliardo” Lei si fermo’ e gli
    accarezzo’ il viso

    ” Bravo Roberto. Tu rimani qui’ con Mattia e guarda se ha bisogno di aiuto. Vi
    verremo a riprendere dopo. Tu Andrea, prendi la macchina e portiamo il nostro
    amico al cimitero della macchine. Li’ non mi rompera’ il cazzo nessuno.
    Valerio, vieni con me” Sara mi spinse con violenza dentro la macchina e monto’
    accanto a me. Mi mise il braccio intorno al collo

    ” Se provi a fare lo stronzo ed a cercare di scappare, sei finito. Non vorrai
    togliermi il divertimento, vero?” Parlava col tono intriso di ironia e col
    sorriso sulle labbra, ma ero certo che dicesse sul serio

    ” Non provero’ a scappare” dissi semplicemente, mentre la mia mente cercava di
    elaborare qualche possibile spiegazione a quello che mi era accaduto ed a
    quello che stavo andando incontro. Mi aveva promesso un sacco di botte ed ero
    ormai certo che l’avrebbe fatto o che comunque, ci avrebbe provato. Mi dicevo
    che adesso che conoscevo il suo valore, avrei potuto affrontarla meglio e che
    avrei venduto cara la pelle. Il mio orgoglio stava riaffiorando del tutto,
    anche se rimaneva il mistero di come potesse aver sviluppato una forza del
    genere

    ” Bravo, zio Stefano, anche perche’ altrimenti dovrei riprendermela con
    Mattia”

    ” No, per favore” la implorai “Lui non c’entra niente. E’ un bravo ragazzo”

    ” Ma che zio amorevole! Ma lui e’ mio, cosi’ come lo sono questi due e quello
    che fa compagnia a tuo nipote. Tutti e quattro sono miei. Ci vado a letto
    quando voglio, li picchio quando ne ho voglia e soprattutto, pretendo che loro
    facciano tutto quello che io ordino. E obbediscono, sai. Sono proprio quattro
    bravi ragazzi, servizievoli e accondiscendenti”

    ” Ci va anche a letto? Con tutti e quattro intendo?” Scoppio’ a ridere

    ” E ti meraviglia? Hanno vent’anni e dovranno pur scopare ogni tanto. E
    siccome a me piace tanto fare sesso, li accontento. Ovviamente, loro possono
    farlo solo con me e io invece posso andare con chi mi pare. E’ la legge del
    piu’ forte, anzi, della piu’ forte ed io lo sono piu’ di loro quattro messi
    insieme. A proposito, Mattia e’ in gamba sotto questo punto di vista. Puoi
    stare tranquillo” No, non mi meravigliava piu’ niente ormai. Sara li aveva
    schiavizzati, fisicamente, psicologicamente e forse sessualmente. Nessuno di
    loro avrebbe avuto il coraggio di denunciarla. Come avrebbero potuto? Col
    rischio di farsi deridere da tutti. Senza contare che Sara poteva sempre
    negare ogni addebito e sostenere che era tutto falso. Era una ragazza e
    avrebbero creduto a lei. Per non parlare della paura che ormai nutrivano nei
    suoi confronti e del terrore di una sua eventuale vendetta. Paura del tutto
    giustificata, paura che anch’io ormai nutrivo nei suoi confronti. Ma intanto,
    sembravamo arrivati alla resa dei conti. La macchina si era fermata in uno
    spiazzo desolato a fianco ad un cimitero delle macchine. Un cancello dipinto
    di verde legato con un lucchetto ed una catena di ferro ci divideva
    dall’interno di quel campo dove erano ammassati relitti di vetture. Sara, con
    uno spintone, mi fece uscire dalla macchina di Andrea. Il posto era veramente
    isolato e sentivo il cuore iniziare a battermi forte. Cosa voleva fare con me?
    Non credevo che volesse uccidermi, ma era comunque il posto ideale per fare di
    tutto, compreso riempirmi di botte come aveva promesso. Forse ancora non mi
    rendevo conto completamente in che razza di situazione mi ero messo nel
    rifiutarla, ma l’avrei scoperto entro pochi minuti

  • Schiavolc

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    Aprile 5, 2023 at 11:08 pm in reply to: LA RAGAZZA DI WILLIAMSBURG

    Secondo episodio

    UN ANNO PRIMA

    Ruth Berkowitz stava preparando la cena dello shabbat insieme a sua madre Esther. Cena che naturalmente doveva essere preparata il venerdì visto che, come tutte le feste ebraiche, lo shabbat iniziava all’imbrunire del venerdì per concludersi la sera del giorno seguente, quando nel cielo sarebbero state visibili le prime tre stelle. E durante lo shabbat, ci si doveva riposare e anche cucinare o accendere la luce era considerato un lavoro tanto che era in uso accendere la plata, ovvero lo scaldavivande, prima dell’entrata della festività per poter poi mangiare cibi caldi anche durante lo shabbat, E quello che si apprestavano a vivere poteva essere considerato un venerdì come tanti altri. Da lì a poco sarebbero intervenuti almeno una ventina di persone. In primis, suo marito Shmuel Berkowitz e i suoi tre figli maschi che avrebbero atteso la fine delle preghiere che si svolgevano nella sinagoga. E poi le nuore, i nipotini e… sua figlia Yael, diciotto anni appena compiuti. Dovevano affrettarsi perché tra poco sarebbe entrato lo shabbat e non mancava poi così tanto che entrasse quel giorno santo che ricordava agli ebrei il riposo del Signore. E la cena del venerdì sera non era una cena qualunque. Dopo le consuete preghiere, ci sarebbe stata tutta la grazia di Dio a tavola. Ovviamente, tutto kosher. D’altronde, tutta la famiglia era religiosa e osservante. O come li chiamavano dal di fuori, <ortodossi>. Si trattava infatti di una delle numerose famiglie chassidiche provenienti dall’est Europa, soprattutto Ungheria e Romania, che avevano trovato la loro giusta dimensione a Williamsburg, nella parte sud di Brooklin. Non era una delle famiglie più in vista da un punto di vista economico. Ce ne erano tante molto più ricche di loro ma per il sabato si faceva uno strappo alla regola e si spendevano diversi dollari per la cena. Lo shabbat andava onorato. E non sarebbe mancato il Kugel che Esther cucinava divinamente. Fu proprio quest’ultima a cercare con lo sguardo sua figlia Ruth
    “ Ancora nessuno si è fatto avanti per chiedere in sposa tua figlia Yael?” Malgrado si trovassero nel centro di New York, non parlavano inglese benché tutti lo sapessero parlare correttamente, ma yiddish, la lingua con forti assonanze tedesche propria degli ebrei ashkenaziti quali erano. La lingua inglese era invece riservata ai dialoghi con i goim ovvero ai non ebrei. (In Italia si usa dare l’appellativo di < gentili> ma cambia a seconda della regione di origine) o, se capitava, con altri ebrei che non facevano parte della loro comunità. Anche l’ebraico era parlato correttamente da tutti i membri della comunità ma era usato poco nei dialoghi ed era riservato quasi esclusivamente alle pratiche religiose. Ruth intanto, aveva ascoltato la domanda della madre e sul suo viso si disegnò una smorfia
    “ Mamma, non toccare questo tasto, per favore. Sono disperata. Ha già compiuto 18 anni e nessuna madre di Williamsburg è ancora venuta a chiederla. Mi rimarrà zitella. Nessuno la vorrà” La risposta di Ruth era quasi addolorata. Esther scosse la testa
    “ Non sarà facile. Ho provato a chiedere a Shulamit che si occupa di organizzare i matrimoni ma per il momento non ho avuto risposte. Pare in effetti che nessuno la voglia. Quella ragazza è uno scherzo della natura. Ma come è venuta fuori una del genere? E come l’avete educata?”
    “ Ti prego mamma, non mettertici pure tu. Se ci penso mi viene da piangere. Eppure l’ho educata io stessa, le ho insegnato il valore della famiglia ma è una ribelle. Pensa, ieri siamo andate a fare la spesa alla macelleria kosher e quell’impudente… Sguardo alto a guardare in faccia gli uomini e risposta sempre aggressiva come se fosse… Come se fosse una goim. Mi farà morire di crepacuore” Esther continuava a scuotere la testa in forma di dissenso
    “ Mi dispiace dirlo. E’ un peccato parlar male della propria mercanzia e Yael è mia nipote ma c’è qualcosa che non va in quella ragazza. Sembra quasi posseduta dal satan (diavolo).” A Ruth vennero quasi le lacrime agli occhi
    “ Ti prego mamma, non dire queste cose. Yael è molto intelligente. Lo sai che ha vinto il torneo di scacchi riservato alle femmine durante l’ultimo anno scolastico? E’ una buona ebrea ma per qualche misterioso motivo che solo il Signore sa, è venuta fuori ribelle. Non riesce ad accettare certe imposizioni, certe regole. Vorrebbe discutere sempre della situazione e non si accontenta di nessuna spiegazione” Esther interruppe sua figlia
    “ Non è solo ribelle, cara. Mi ricordo di quel torneo di scacchi ed ero fiera di lei. Ma poi lei voleva giocare contro i maschi dicendo che li avrebbe battuti facilmente perché una femmina non è inferiore ai maschi. Ha qualcosa che mi turba quella ragazza. Non sembra una di noi”
    “ Perché è così alta? Non è la prima ragazza ad essere più alta del normale”
    “ Non è solo questione di altezza. E’… E’ troppo bella. Troppo. Mette in difficoltà gli uomini che la guardano. Un maschio della nostra comunità non guarda l’aspetto fisico, grazie al Signore, ma altre doti. Se ci aggiungi pure quella perenne aria che sembra sfidare il mondo, è logico che nessuno si faccia aventi per chiederla in moglie, Ruth”
    “ Non dire così, mamma. Se il Signore l’ha fatta così avrà avuto il suo disegno che noi ignoriamo”
    “ Ti ripeto che non è una questione di altezza. Io l’ho notata. Yael sembra vivere in un mondo che non le appartiene. Ma questo è il nostro mondo. E lei invece fa fatica ad accettarlo” Ruth accennò di sì con la testa. Conosceva bene anche lei sua figlia e sapeva che sua madre aveva pienamente ragione. Yael sembrava quasi costretta a vivere in quel modo.

    Nella sua stanza, Yael osservava il suo volto dinanzi allo specchio. Possedeva bellissimi lineamenti. Il suo ovale era praticamente perfetto, impreziosito da una stupenda bocca carnosa che però a lei non piaceva affatto. Senza sapere che fuori dal suo mondo quello che per lei era un grosso difetto sarebbe stato visto come un grande pregio e che tantissime attrici e soubrettine che bazzicavano la televisione pagavano migliaia di dollari per avere una bocca come la sua. Ma la sua era naturale e molto più bella di quelle bocche costruite artificiosamente. E poi i suoi meravigliosi occhi chiari, due fari incandescenti che attiravano e per certi versi inquietavano. Infine, si soffermò sui suoi meravigliosi capelli. Lunghi, ricci, di color castano chiaro e le vennero le lacrime solo al pensiero che quando si sarebbe sposata li avrebbe dovuti tagliare a zero. Nessun uomo avrebbe potuto guardare i suoi capelli. Avrebbe potuto indossare una parrucca, soprattutto quando sarebbe uscita o, meglio ancora, un copricapo di lana o di cotone, preferibilmente nero. Anche in casa. Ma cosa c’era di male? Perché quella costrizione? Ma forse nessun uomo l’avrebbe mai sposata e la cosa non le dispiaceva affatto. Non aveva proprio voglia di sfornare figli e servire un marito del quale non sarebbe stata innamorata. Non aveva molte idee sulla vita fuori Williamsburg ma sapeva che le donne facevano una vita diversa. Si vestivano carine, si truccavano e soprattutto non facevano da serve. Anche le ebree, non soltanto le goim. Le ebree non ashkenazite che tra l’altro erano malviste nella sua comunità proprio per la troppa libertà di cui disponevano. Antipatia completamente contraccambiata in quanto gli ebrei che vivevano nella cosiddetta normalità mal sopportavano gli ortodossi. Poi si osservò interamente. Ma perché il Signore l’aveva fatta così alta? Era sempre stata la più alta della sua scuola ed erano ben pochi i ragazzi di Williamsburg che la superavano. Col suo 1.84 a soli 18 anni, era fatta spesso oggetto di sorrisini ironici. Ed era quasi ovvio che nessun ragazzo avrebbe mai chiesto di sposarla. O, per essere più esatti, nessuna donna con figli maschi in età da matrimonio avrebbe chiesto a sua madre di darla in sposa a suo figlio. E nella sua comunità rimanere zitelle era quasi un delitto. E questo malgrado a detta di tutti era considerata di gran lunga la più bella di tutta la sua comunità. Nonostante ciò, lei non riusciva ad accettarsi completamente e si vedeva un milione di difetti. Continuò ad osservarsi facendo le faccine strane dinanzi allo specchio. Il suo corpo era completamente nascosto da un tipo di abbigliamento casto che non doveva lasciar trapelare nulla ma sotto quei panni c’era un corpo aggraziato e perfettamente uniformato alla sua altezza, compreso un seno marmoreo che sarebbe stato l’ideale per una pubblicità di un chirurgo estetico. Ma un altro problema la attanagliava. Lei non era soltanto diversa fisicamente dalle altre ragazze ma lo era anche psicologicamente. Ovviamente, non ne aveva mai parlato con nessuno. Tutta la sua comunità sapeva che lei non era la classica ragazza pronta ad obbedire a chiunque ma Yael sapeva che c’era qualcosa in lei che andava ben oltre ma ancora non sapeva bene cosa fosse.

  • Schiavolc

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    Novembre 19, 2022 at 10:17 am in reply to: Accademia per leccapiedi

    Sono passati 7 giorni e mi sono vagamente ripreso dalla Signora Valentini. Non posso riposare oltre, devo guadagnare altri soldi. È venerdì e ho un’idea, mi dirigo al mare.
    Arrivo ed entro subito nella spiaggia, è mezzogiorno ed è già affollato di turiste (le Donne fanno tutte il week end lungo) molte sono da sole, i loro tappetini sono probabilmente a casa a fare i mestieri. Indosso il mio collare da leccapiedi pubblico, la mia speranza è che essendo in ferie troverò Padrone più rilassate e generose. Faccio pochi metri che subito sento una voce:
    – ehiii guarda un leccapiedi! – mi giro e vedo due ragazzine giovani, avranno si e no 18 anni, abbronzate,una bionda in bikini giallo con smalto bianco, l’altra mora con bikini e smalto rossi.
    – vieni qui schiavo! Ho i piedi bollenti, mi serviva proprio un bel massaggio rinfrescante – dice la bionda… ho già trovato le mie prime clienti. Mi avvicino, mi inginocchio sulla sabbia rovente ai piedi del lettino della bionda, le porgo il guinzaglio del mio collare e bevo un sorso di una lozione all’eucalipto, è disgustosa ma avrà un effetto rinfrescante sulla pelle dei suoi piedini. Lei impugna il guinzaglio e mi tira verso di se finchè la mia faccia è ben piantata sotto le sue piante dei piedi.
    – dai schiavo, non perdere tempo, leccami i piedi! Comincia dalle piante, lingua larga e leccate lente – obbedisco, lecco le piante cercando di togliere il grosso della sabbia e ingoiandola. Bevo un altro sorso e continuo a leccarle i piedi
    – Aahhh è magnifico, ci voleva proprio una bella leccata di piedi – dice la bionda – verme, succhiami le dita, una per una!- c’è ancora un po’ di sabbia, la raccolgo con la lingua e la ingoio.
    – dopo me lo passi vero? – dice la mora – certo Tesoro ci mancherebbe. Tu verme succhia bene! – mi da un calcio in faccia – apri la bocca – ci infila tutto il piede poi comincia a tirare il guinzaglio in modo che le dita mi arrivino in gola – succhia succhia, verme schifoso – dice ridacchiando e tirando il guinzaglio. Il suo piede mi soffoca ma continuo a succhiarlo. Lo tira fuori e con noncuranza ci infila l’altro, pompandomelo in gola con ritmo – ti scopo la bocca col piede schiavoooo – ridono assieme. Mi tira un po’ di calci in faccia poi passa il guinzaglio all’amica che lo reclama.
    – vieni, vieni schiavo. Lecca un po’ i miei su su – bevo la lozione e continuo il mio lavoro. Anche i suoi piedi sono abbastanza insabbiati, li pulisco per bene con la lingua.
    – delizioso! Come lecchi bene, leccapiedi – sorride. Comincio a soffrire, la sabbia mi graffia la lingua, la sabbia mi ustiona le ginocchia, il collo fa male perché anche la mora continua a tirare il guinzaglio, soffocandomi e strofinandomi i piedi sulla faccia e sulla mia lingua esposta. Le succhio le dita di un piede mentre lei con l’altro mi stampa delle pedate su un lato del viso. Dopo alcuni minuti mi lasciano libero, la bionda getta una banconota da 10 euro sulla sabbia – sparisci verme!.
    Mi alzo e proseguo il mio cammino tra le sdraio. Faccio pochi metri che una ragazza da sola alza gli occhi dalla rivista che sta leggendo, mi fissa e schioccando le dita indica i suoi piedi. Non mi parla neanche, mi inginocchio, un sorso di lozione e comincio a leccarle i piedi. Anche i suoi sono pieni di sabbia, credo che oggi mi toccherà mangiarne un bel po’. Le ginocchia fanno un male cane, la sabbia è caldissima. Lecco e lecco, le piante i talloni, succhio le dita e vi infilo la lingua. Passano i minuti, lei non dice niente, legge, si rilassa e si gode il mio massaggio orale. Dopo altri minuti mi fermo un attimo, non sento più la lingua, ho sete, le ginocchia bruciano. Mi arrivano subito tre calci in faccia, forti, di pianta
    – continua a leccare, schiavo. Non ti ho detto di smettere – è la prima volta che sento la sua voce. Con la faccia dolorante continuo a leccarle le piante. Mi tiene ai suoi piedi ancora mezz’ora, memore delle pedate in faccia non smetto di leccarli neanche un secondo. Altro calcio in faccia – può bastare, tieni – mi congeda dandomi 5 euro. La ringrazio e proseguo-
    – qui leccapiedi! –
    – no l’ho visto prima io! –
    Due ragazze si litigano i miei servigi – okkei, usalo tu ma poi me lo passi, va bene? –
    – okkei Tesoro – intanto mi sbatte i piedi in faccia – tu lecca, cane! – con la faccia sepolta sotto le sue piante insabbiate tiro fuori la lingua e lecco
    – com’è, è bravo?
    – mah, ho avuto di meglio – mi tira dei calci in faccia – impegnati, cane, lecca meglio –
    Con rinnovato vigore continuo a leccarle i piedi per diversi minuti. Le ragazze chiacchierano e spettegolano di lavoro e di tappetini – … da non credere, l’ha ammazzato! A calci in faccia! – e – dovevi vedere com’era ridotta la faccia del suo tappetino… – e – domani sera c’è la festa, tu lo porti il tuo? –
    Intanto io continuo a leccarle i piedi. L’amica mi reclama – qui, cane, lecca i miei! – a quattro zampe raggiungo il suo lettino e incollo la lingua ai suoi piedi. Altra sabbia da mangiare. Lecco per dieci minuti, mi mandano via dopo avermi dato 5 euro in due. Il pomeriggio passa, ho leccato piedi ad altre sei ragazze.
    Proseguo il mio cammino, sono in condizioni pietose, ho bisogno di una pausa. C’è un bar, entro per bere un po’ d’acqua. La titolare mi guarda un po’ schifata – ehi non serviamo leccapiedi qui… –
    – la prego signora solo un sorso d’acqua – supplico
    – mmmh guarda se vuoi l’acqua c’è la postazione lava piedi vuota attualmente.. tra poco è ora di aperitivo e odio che le ragazze entrino nel locale con i piedi insabbiati. Poi devo pulire io! –
    – ma veramente…- balbetto
    – dai schiavo non farti pregare.. potrai bere a volonta.. poi se mi ci fai serata di darò dieci euro ok?-
    Ho una sete tremenda e poi i soldi mi fanno gola. Accetto. Mi conduce alla postazione: una buca nel cemento con una botola a due ante bucata nel mezzo. Sopra la buca un doccino col temporizzatore e un pulsante. Vicino alla buca un cartello “si prega la gentile clientela di pulirsi i piedi dalla sabbia prima di entrare, grazie”. Entro nella buca, mi rimane fuori solo la testa. Lei chiude la botola e mi imprigiona nel pavimento.
    – ooh vediamo se funziona – preme il pulsante ed un getto d’acqua cade dal doccino sopra la mia faccia. Ne approfitto per sciacquarmi la bocca e per bere qualche sorso, dopo dieci secondi si interrompe.
    – bene schiavo, ora che hai la bocca pulita, leccami i piedi! – si sfila un’infradito e mi porge la pianta da leccare. Non è insabbiata ma è un po’ sudata. Mi infila in bocca tutto il piede, si fa succhiare bene le dita poi ripete l’operazione con l’altro piede. Quando è soddisfatta preme di nuovo il pulsante, sciacquando la mia faccia, pronta così per la prossima cliente. – buon lavoro, schiavo, a dopo – mi sorride e se ne va.
    Io mi guardo un po’ intorno, ma dopo pochi secondi arriva già la prima cliente, una ragazza un po’ in carne, mora, molto carina. Senza neanche degnarmi di uno sguardo mi da una pedata in faccia, capisco che devo tirare fuori la lingua. Ci strofina sopra la pianta del piede piena di sabbia a lungo, fino a completa pulizia. Mi infila poi il piede in bocca, la mia lingua frulla tra le sue dita raccogliendo la sabbia. Estrae il piede ormai pulito dalla mia bocca, si infila l’infradito e mi sbatte in faccia l’altro piede, sempre strusciandolo sulla mia lingua. Le succhio le dita ripulendole, poi se ne va premendo il bottone. Come uno sciacquone del cesso. Qualche secondo di respiro ed arriva un’altra ragazza, mi dice solo una parola: – lingua – io obbedisco e la tiro fuori, anche lei la usa per togliersi la sabbia dalle piante dei piedi e tra le dita prima di infilarsi le ciabattine. Preme il pulsante, getto d’acqua, se ne va. Riesco a dare un’occhiata e prima che altri piedi insabbiati mi entrino in bocca vedo che ormai si è formata una colonna di ragazze che attende il mio servizio. Ora è un susseguirsi di piedi in faccia, dita in bocca, calci in faccia, mangio etti di sabbia e annego sotto innumerevoli getti d’acqua, le ragazze mi usano senza pietà, come se fossi un oggetto… e per loro lo sono… passano i minuti e poi le ore, la mia lingua non si ferma un secondo, non vedo altro che piante dei piedi insabbiate calare sulla mia faccia di continuo.
    Ormai è buio, non so a quante ragazze avrò pulito i piedi, forse duecento, forse di più… da qualche minuto non ne passano più ed io posso finalmente respirare. Sento le serrande del bar abbassarsi, finalmente chiudono e potrò andare a casa, penso. Arriva la titolare – tutto bene, leccapiedi? Sei vivo? –
    -si Signorina- riesco a mormorare – ma sono sfinito, la prego mi liberi –
    – tra un minuto – mi dice lei sorridendo – prima saresti così gentile da leccarmi via il sudore dai piedi? Sono stata in piedi tutta la sera ed ho proprio bisogno di un bel massaggio con la lingua, perfavore… – non colgo il suo tono ironico.
    – la supplico… signorina… non ce la faccio… mi lasci andare la imploro…-
    Mi arriva una serie di pedate in faccia – forse non mi sono spiegata: leccami i piedi, merda! Sennò ti tengo chiuso lì tutta la notte! – si siede su un muretto lì vicino, si accende una sigaretta ed accomoda i suoi piedi sulla mia faccia – lecca bene.. dai impegnati, merda sennò ti spacco la faccia a calci – le sue pedate in faccia mi hanno risvegliato e lecco i suoi piedi impegnandomi al massimo. Sono sudati, un po’ odorosi e impolverati, insisto sulla pianta, vedo che le piace e la rilassa. Le succhio le dita una ad una poi le prendo in bocca tutte, carezzandole con la lingua mentre si muovono nella mia bocca. Si fa leccare i piedi per venti minuti dopodiché mi libera, mi paga e mi fa cenno di sparire. Corro a casa, ho guadagnato circa 70 euro ma sono distrutto e dormo per due giorni.

  • Schiavolc

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    Novembre 19, 2022 at 10:17 am in reply to: Accademia per leccapiedi

    Suono il campanello e mi apre una signora di circa 45 anni, in vestaglia rossa e zoccoletti neri col tacco alto, unghie smaltate di nero, mora capelli mossi, molto bella.
    – entra schiavo, seguimi a 4 zampe – si siede sul divano, accavalla le gambe – in ginocchio e leccami le suole che poi cominciamo – obbedisco, leccando le suole ed ingoiando lo sporco, non so cosa mi aspetta ed ho paura.
    – ora cominciamo a giocare. Mani dietro la schiena, immobile. Sarai il mio antistress, ti prenderò a calci in faccia per sfogare il nervoso della settimana. Se cadi hai 5 secondi per rimetterti in posizione, se non lo farai ti caccerò senza il tuo voucher – conclude ridendo.
    Mi appoggia la suola sulla faccia, la preme, pregustando il momento. Tira indietro la gamba e violenta arriva la prima pedata in faccia, mi colpisce sulla bocca. Altra pedata, sulla guancia forte.
    – aaah che meraviglia, non c’è niente di meglio che prendere a calci in faccia uno di voi coglioni per rilassarmi! – altra pedata, sulla guancia. Fanno un male terribile ma io resisto. Altra pedata in bocca poi una scarica veloce, sempre di suola, mi arrivano anche sul naso, comincio a lacrimare.
    – prendi bestia, soffri! – pedata forte in piena faccia – prendi, prendi – ride e comincia ad ansimare, altra pedata in bocca. Questa mi spacca un po’ il labbro, vedo qualche goccia di sangue sulla suola – siiiii merda ti spacco la facciaaaaa a calciiii – comincia ad eccitarsi davvero mentre mi scarica altre pedate in faccia.
    Comincio a barcollare, la testa confusa, dolore immenso.
    – pausa , schiavo. Puliscimi il sangue dalle suole con la lingua- ordina ed io obbedisco leccando il mio sangue dalle sue suole. Speravo fosse finita la mia tortura ma lei mi gela: – adesso calci in faccia coi piedi nudi, merdina. Mi piace sentire la tua pelle sotto la pianta dei piedi – si sfila uno zoccoletto e mi impone il piede nudo in faccia premendolo per bene. Sento il suo odore, un vago aroma di cuoio e sudore. Me lo strofina a lungo in faccia, occhi socchiusi. All’improvviso arriva la prima pedata, forte di pianta, in piena faccia. Mi ha sorpreso e quasi cado. Lei ride e me ne da subito altre 3, il mio equilibrio precario, cado.
    – in posizione, schiavo, subito! – mi inginocchio e immediatamente mi arriva un’altra pedata. Il tallone mi spacca ancora di più il labbro. Pedata. La pianta mi appiattisce il naso. Pedata. Ancora e ancora. Il tempo passa, sarà almeno mezz’ora che mi prende a calci in faccia, un velo di sudore ricopre le sue gambe. Pedata forte, cado di nuovo.
    – bestia, in posizione- pedata forte, poi una scarica veloce, ricado – in posizione – mi rialzo appena in tempo, altra pedata. Gli occhi cominciano a gonfiarsi, faccio fatica a vederle arrivare ora. Sto cominciando a pensare che non resisterò, devo fermarla o mi spappolerà la faccia. Poi penso ai 200 euro e stringo i denti. Serie di cinque pedate forti, lente, cadenzate. Cado di nuovo. Non mi dice niente e si limita a schioccare le dita. Mi rialzo, la testa penzoloni. Me la solleva con un piede sotto il mento, mi appoggia in piede in faccia, prende la mira e mi da una pedata fortissima. Cado, schiocco di dita, mi rialzo. Pedata fortissima e cado nuovamente. Ormai casco quasi ad ogni suo calcio ma lei imperiosa continua a schioccare le dita ed a rimettermi in posizione. Finalmente comincia a stancarsi, lo sento dalla potenza e frequenza dei suoi colpi che diminuiscono. – Stenditi, faccia in su, ai miei piedi. Sono stanca voglio riposare.- crollo come un sacco di patate e lei mi appoggia subito i piedi in faccia, sospirando e stiracchiandosi. La mia faccia urla di dolore, la semplice pressione dei suoi piedi è quasi intollerabile ma almeno non mi colpisce più.
    Passa qualche minuto, i suoi piedi ben piantati sull’inferno di dolore della mia faccia. Comincio a sperare che sia finita quando un paio di violenti pestoni mi colpiscono in faccia
    – sveglia pezzente, altra dose di calci in faccia in arrivooo siiii – intanto mi pesta la faccia come fosse uva da vino – veloce, in posizione… uno.. due – conta e intanto scandisce ogni numero con un calcio in faccia, rendendo difficoltoso l’alzarmi – tre… quattro… dai bestia inginocchio, ultimo avvertimento- ce la faccio per un pelo – cinque! Hahahahaha – pedata fortissima in piena faccia. Mi colpisce ancora e ancora, io barcollo, non ce la faccio più.. Va avanti così per altri dieci minuti. Cado. – in posizione, schiavo. Non ho ancora finito- mi rialzo con le ultime forze – pietà Padrona…- provo a mormorare. Subito mi arriva l’ennesimo calcio in faccia – cosa, bestia? Non ho capito –
    – pietà la supplico – Calcio in faccia
    – pieta… – Calcio in faccia – pietà – calcio in faccia – pietà – calcio in faccia,comincio a piangere e lei ride di gusto.
    – p..pietà…- Calcio in faccia – zitto schiavo e subisci hahahaha – calcio in faccia. Va avanti così per altri dieci minuti tempestandomi la faccia di calci, io ormai sono delirante, balbetto cose senza senso, i miei occhi quasi chiusi, il naso gonfio, le labbra sanguinano, e lei continua a ridere ed a insultarmi – bestia, mi fai pena- Un ultimo calcio fortissimo e crollo a terra – faccia sotto i miei piedi, schiavo, veloce! – obbedisco strisciando ai suoi piedi che mi si piantano nuovamente e pesantemente in faccia.
    -aaaaahhh sono soddisfatta schiavo – dice – credo proprio che ti firmerò il voucher, non sei contento, pezzente?- mi schiaccia la faccia sotto le piante facendomi di nuovo lacrimare – si Padrona grazie Padrona – riesco a sussurrare da sotto i suoi piedi. Prende in mano il voucher, lo firma e lo getta a terra – e adesso vattene, sparisci bestia! – io lo raccolgo e striscio finalmente verso l’uscita con le ultime forze.
    Mi dirigo sbandando e fermandomi sovente a riprendere fiato verso l’agenzia. Entro e Katia mi guarda e sorride – serata pesante, eh Schiavetto? – i suoi piedi ancora appoggiano sulla faccia del suo tappetino.
    – si Signorina – rispondo. Osserva il mio viso distrutto e intanto comincia a schiacciare la faccia del tappetino sotto i suoi piedi – mmmh mi fai venire le vogliette… preparati tu lì sotto, idiota, che stasera ci divertiamo anche noi – gli dà alcuni pestoni di pianta in piena faccia e poi riprende a schiacciargliela. Non riesco a provare pena per lui. Prende il mio voucher, lo controlla e mi da i 200 euro – a presto, schiavetto, ti chiamerò se avrò bisogno-
    -grazie Signorina – mormoro. Mi dirigo verso casa, e appena entro svengo sul divano.

  • Schiavolc

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    Giugno 4, 2022 at 9:39 pm in reply to: Ester: la storia di una donna in carriera

    II.
    Due colpi sordi alla porta dell’ufficio dell’università del Professor Ranieri, docente di Lingue e Letterature Angloamericane.
    «Avanti» disse Ester, l’unica persona presente in quel momento nell’ufficio del docente.
    Ad entrare fu Alessio Pisani, uno studente del corso di laurea magistrale. Era un ragazzo sui 25 anni, aveva i capelli neri e ricci, occhi neri, era alto e magro e portava gli occhiali. Era una persona molto a modo e vestiva bene.
    «Buon…» disse mentre entrava, ma poi si paralizzò. Osservò con espressione stupita Ester, che aveva le gambe poggiate sulla scrivania del Professor Ranieri.
    Pisani non poté che osservare quanto Ester fosse uno schianto.
    Ester si mise composta, togliendo velocemente le gambe dalla scrivania, ma non sembrava per nulla a disagio per il fatto che uno studente l’avesse scoperta in una posizione così provocante in un ambiente così poco consono, anche se con l’attenuante che in quel momento era sola nella stanza.
    «Sì?» disse interrogativa Ester.
    «Io… sì, ehm…» disse Pisani, un po’ impacciato. «Ho appuntamento col Professor Ranieri».
    «Non è orario di ricevimento del Professor Ranieri» fu la risposta di Ester. Osservava con aria di importanza e prepotenza Pisani, come una professoressa molto severa che da dietro una scrivania si tenesse pronta a fare un aspro rimprovero ad un suo scolaretto indisciplinato.
    «Ma è stato lui a dirmi di venire oggi a quest’ora» disse Pisani sulla difensiva, un po’ in difficoltà. Possibile che avesse capito male?
    Ester diede un’occhiata al ragazzo. Lo conosceva, eccome se lo conosceva. Era uno studente modello, e non credeva avesse avuto mai meno di trenta ad un esame. Sapeva che gli mancavano pochi esami al termine e che aveva intenzione di scrivere la tesi della magistrale con il Professor Ranieri come relatore, e questo per qualche motivo a Ester non faceva per nulla piacere. Era uno studente colto e fin troppo preparato.
    «Avrai sbagliato a capire» disse Ester col tono di chi la sapeva lunga. «Oppure si sarà dimenticato. Non credo che tu sia abbastanza importante da farlo scomodare in un orario in cui non fa ricevimento. E come vedi, lui non è qui».

    Pisani sembrò molto a disagio. Il suo volto si colorò di rosa.
    «Puoi riferirgli…» chiese Pisani, ma Ester lo interruppe.
    «Può» lo corresse la ragazza. «Non sono più una studentessa al tuo livello, sono di un livello superiore ora. Ti tocca darmi del lei».
    Pisani era spaesato.
    «Può riferirgli che sono passato?» si corresse.
    «Certo che posso» rispose Ester, ma presto fu chiaro che la sua temporanea gentilezza era solo una messa in scena. «Posso ma non lo farò. Mandagli una mail. Forse ti risponderà».
    «Lei crede» disse Pisani, sfidandola, cacciando fuori tutto l’orgoglio che fino a quel momento l’aveva tenuto calmo e trattenuto dal risponderle a tono, «che solo perché il Professor Ranieri è il suo tutor lei si può permettere di trattare le persone come meglio crede, guardandole dall’alto verso il basso?».
    «Porta rispetto, ragazzino» gli rispose Ester, con un’irritante aria di superiorità e con un tono sensualmente minaccioso. «Sono abituata ad avere gli uomini ai miei piedi, non credere di poter alzare i toni con me. Altrimenti…» si alzò e gli si avvicinò, per poi sussurrargli nell’orecchio: «altrimenti laurearti ti costerà il triplo dell’impegno».
    «È una minaccia?» chiese Pisani, tremante ed ansimante.
    Ester sorrise, ma non rispose. Tornò a sedersi alla scrivania del Professor Ranieri.
    «Posso esserle ancora d’aiuto, Signor Pisani? Ha bisogno di altro?» chiese la ragazza, cambiando drasticamente tono, ornando la sua bocca di un sorriso falso col quale spaesò Pisani, che però non disse nulla. Si limitò a voltare le spalle ad Ester e uscì dall’ufficio del Professor Ranieri.

    III.
    «Buongiorno ragazzi».
    Quella mattina non fu il Professor Ranieri a tenere la lezione del corso di Lingue e Letterature Angloamericane; fu Ester, che entrò in aula vestita e truccata elegantemente, come se invece di dover andare a spiegare degli argomenti a degli studenti universitari fosse dovuta andare ad una festa, o peggio, a sedurre.
    «Questa mattina il Professor Ranieri ha avuto degli impegni improrogabili. Di conseguenza sarò io a sostituirlo. Mi prenderò io il disturbo di tenere la lezione».
    Ester seppe di aver catturato in un istante l’attenzione di tutta l’aula. C’era chi la fissava con desiderio, chi con ammirazione, chi con un pizzico d’invidia. E chi con odio feroce.
    «A quanto ne so» riprese Ester, mettendosi seduta sulla cattedra ed accavallando le gambe, «una delle autrici che affronterete nel corso è Margaret Atwood. Mi ricordate quali sono le altre autrici?».
    «Sylvia Plath, Kate Chopin e Charlotte Perkins Gilman» rispose una studentessa, troppo ingenua perché capisse che Ester sapeva fin troppo meglio di lei e di chiunque altro presente in quell’aula quali fossero tutte le autrici affrontate in quel corso.
    «Un vero e proprio corso sul femminismo» disse Ester con finto stupore. «E ritenete che un uomo stia affrontando in modo idoneo certi argomenti? Quanto si immedesima il Professor Ranieri nelle protagoniste delle varie opere?».
    Gli studenti in aula si fissarono tra di loro, incerti sul se e sul come rispondere.
    Ester diede in una risatina, facendo sciogliere di un po’ la tensione che si stava venendo a creare.
    «Scherzo, ragazzi» disse. «Il Professor Ranieri è preparatissimo e credo che in pochi in questo Ateneo siano in grado di tenere un corso sul femminismo alla perfezione quanto lui. Il fatto che sia un maschio non vuol dire assolutamente nulla. Ha tantissimo cervello quell’uomo. Ma torniamo a noi. Stamattina desidero affrontare un argomento riguardo la Atwood. Scommetto che la maggior parte di voi qui dentro ha un abbonamento Netflix. Avete mai visto la serie L’altra Grace? È ispirata al romanzo omonimo della Atwood. Dubitando che molti di voi ne abbiano mai sentito parlare, vorrei parlarne io stamattina».

    Colui che aveva accolto con odio l’ingresso di Ester in aula, e cioè lo studente Pisani, ebbe la faccia tosta di interromperla.
    «Ma L’altra Grace non fa parte del programma. Della Atwood dobbiamo studiare La porta. Null’altro».
    Ester fissò Pisani e gli si avvicinò.
    «Gli studenti alzano la mano e chiedono il permesso se vogliono parlare mentre io sto spiegando» disse con tono severo. «Si alzi e mi segua alla cattedra».
    «Perché?» chiese Pisani a disagio.
    «Si avvicini alla cattedra» incalzò Ester. «Niente domande. O per me può anche abbandonare l’aula».
    Seppur titubante, Pisani si alzò e raggiunse Ester alla cattedra.
    «Ora può spiegare a tutti i suoi colleghi un buon motivo per cui lei reputa opportuno dire a me di cosa parlare durante una lezione che sto tenendo io e non lei. Credo che saranno tutti affascinati dalle sue motivazioni» gli disse Ester, porgendogli il microfono. Pisani lo afferrò, incerto. Fu un gesto automatico, ma la sua intenzione non era di certo quella di parlare davanti a tutti i suoi colleghi.
    In aula si respirava un’aria piuttosto strana. Qualcuno fece una risatina nervosa, qualcun altro sembrava in apprensione. In quegli istanti il silenzio era assordante, ma la cosa non durò moltissimo. Ester riprese il microfono dalla mano di Pisani e disse con aria trionfante: «Ecco, come immaginavo». Sorrideva soddisfatta. «Lei non ha neanche una buona motivazione per dirmi come insegnare. Quindi torni al suo posto e taccia, a meno che non abbia qualcosa di intelligente e interessante da dire. Se non le piace l’argomento del giorno, quella è la porta».
    Rosso in faccia, Pisani tornò al suo posto, senza osare guardare nessuno negli occhi.

    «Dopo questa brusca e inutile interruzione, riprendiamo il nostro argomento» disse Ester agli studenti. «A meno che qualcuno non abbia qualcosa da obiettare» aggiunse, ma nessuno in quell’aula sembrava particolarmente voglioso di farsi mettere alla prova da Ester. «L’altra Grace» riprese a parlare dopo qualche attimo di silenzio, constatando che nessuno era contrariato dalla novità dell’argomento che aveva intenzione di affrontare. «Come ha fatto notare il vostro collega, non fa parte del programma. Ma potrete dormire sogni tranquilli: L’altra Grace non sarà oggetto di esame. Per una lezione possiamo parlare di femminismo affrontando anche un argomento che non è oggetto diretto del corso. Ragioneremo sull’aspetto cruciale della trama, senza tuttavia spoilerare troppo. Per chi cova il desiderio proibito di vedere la serie, o meglio ancora, di leggere il romanzo della Atwood dal quale è ispirata la serie. Grace Marks: assassina o vittima? Perché una donna viene quasi sempre considerata una vittima? Essere una donna, e questo in epoche più remote era la regola del giorno, obbliga a sopprimere alcune parti della propria personalità. Cosa succede a tutta quell’energia negativa accumulata? Viene trasformata in rabbia? Quanto può far male una donna?».
    Gli unici suoni in quell’aula, oltre alla voce di Ester, provenivano dai suoi tacchi. Tutti gli studenti ascoltavano rapiti il discorso che, tutti erano certi, Ester aveva preparato alla perfezione. E questo diede da pensare a Pisani: se il Professor Ranieri fosse stato semplicemente colto da un imprevisto, come aveva fatto Ester a preparare così velocemente il suo discorso? Lo teneva già pronto, era stata una cosa programmata?

    «Pisani?» disse Ester, facendo sobbalzare il ragazzo, che per un attimo temette che Ester avesse letto nella sua mente, interpretandone i suoi pensieri e i suoi dubbi. «Pisani, torni qui alla cattedra. Ho un quesito da porle».
    Pisani si alzò, e nervosamente raggiunse il posto cattedra.
    «Lei è fidanzato?» chiese Ester, per poi ridargli nuovamente il microfono.
    «No» rispose il ragazzo. Aveva la voce agitata e gli sudavano le mani.
    «No» gli fece eco Ester. «Immagina di essere fidanzato con una ragazza. E immagina che la sua fidanzata, dopo una discussione, la picchi. E poi mi risponda a due domande. La prima: quanto, secondo lei, una donna può far del male? La seconda: se la sua ragazza la picchiasse, lei come si sentirebbe? Avrebbe il coraggio di denunciare la cosa, o si sentirebbe solo un debole, avendole prese da una donna? Avrebbe vergogna? Si sentirebbe umiliato?».
    «Stessi diritti e doveri» disse Pisani, con la voce tremante per il nervoso. «Se una donna fa del male a chiunque esso sia, deve essere denunciata e punita. La legge è uguale per tutti».
    «Come mai non è a Giurisprudenza, Signor Pisani?» chiese Ester. «Forse ha capito bene come funziona il mondo. Siamo nel XXI secolo, è ovvio che gli uomini e le donne debbano avere stessi diritti e doveri. Ma il mondo non funziona così. Non ancora. E non saremo di certo noi a cambiarlo. Vero?».
    «Vero» confermò Pisani.
    «Vero?» ripeté Ester. «E lei si arrende così? Accetta passivamente per buono qualunque cosa gli venga detta? Non potremo mai veramente cambiare il mondo se non ci crediamo nemmeno noi. Torni al suo posto, grazie».

  • Schiavolc

    Member
    Dicembre 27, 2021 at 10:08 am in reply to: Schiavo per amore

    Primo episodio

    Quando sentii il mio telefono cellulare che squillava, ero tentato di non rispondere. Ero in ufficio e tutti coloro che mi conoscevano sapevano che durante l’orario di lavoro non volevo essere disturbato. D’altronde, non avevo figli di cui preoccuparmi o una moglie petulante alla quale rispondere e le telefonate private non erano affatto gradite dal mio capo-ufficio. Ma poi guardai il display ed il bel viso di Diana mi apparve davanti agli occhi e allora dovetti fare una piccola modifica al mio pensiero. Quasi tutti coloro che mi conoscevano non mi avrebbero disturbato. Quel <quasi> pero’ indicava una persona. Una sola persona. E naturalmente si trattava di Diana. A lei non glie ne fregava niente di niente e si sentiva appunto padrona di fare quello che voleva. Con me, ovviamente, ma non solo. In quel momento, non sapevo se lei fosse al corrente che io ero da sempre perdutamente ed inutilmente innamorato di lei ma di sicuro sapevo che si era sempre comportata come se io fossi un oggetto di sua proprieta’. No, niente femdom. Non c’era mai stato niente del genere tra di noi fino a quel momento. Semplicemente, mi reputava un amico al qual rompere le scatole in ogni momento lei desiderasse. Un amico? Ma quale amico. Io l’amavo, da sempre, da quando eravamo adolescenti e cioe’ da oltre quindici anni e l’amavo ancor di piu’ da quando si era sposata. Pertanto, fui praticamente obbligato a rispondere. Se non l’avessi fatto sarebbero stati guai per me. No, non mi avrebbe picchiato a sangue, anche se aveva tutte le possibilita’ di farlo. Strano vero? Si, sarebbe stato strano per la quasi totalita’ del genere femminile ma non per lei. Lei e la sua palestra del cavolo, lei e i suoi allenamenti del cavolo nelle arti marziali, nei pesi ed in tutto cio’ che concerneva sviluppare al massimo le sue potenzialita’ atletiche. Cosa faceva esattamente? Boh! Karate e judo di sicuro dove fin da ragazzina era cintura nera ma sapevo che i suoi allenamenti si svolgevano anche in altri ambiti ma sempre inerenti a questa sua grande passione. Quel che era certo era che se avesse voluto avrebbe potuto stendere un bel po’ di maschi e in passato l’aveva fatto, eccome. Oh, non vi immaginate risse o cose del genere. Lo faceva per scherzo, per gioco, per mettersi in evidenza e per dimostrare la sua assoluta superiorità nei confronti del genere maschile. E in quelle situazioni il suo egocentrismo si sviluppava alle massime potenzialità e si rafforzava. Addirittura, ho sempre immaginato che lei provasse un vero e proprio piacere sessuale nel farlo. Ovviamente, succedeva anche con me. No, non avevamo mai litigato ma quando eravamo ragazzi, come ho appena sostenuto, si divertiva a giocare, a fare la lotta, ben sapendo che dopo meno di dieci secondi ero ai suoi piedi, immobilizzato. E poi diventava tenera. Mi dava un bacio sulla guancia e mi diceva <sei il=”” piu’=”” caro=”” amico=”” che=”” io=”” possa=”” avere,=”” paolo.=”” ti=”” voglio=”” bene=””>. E quindi non era paura, la mia. Non certo paura fisica, almeno. Era timore di doverci litigare, di poterla perdere anche come amica oltre ad aver perso la speranza di poterla avere come ragazza. Spinsi quindi il tasto del mio telefonino e sentii la sua voce imperiosa
    “ Vieni immediatamente a casa mia, Paolo. Subito” Nemmeno un <ciao> o un buongiorno>. Dopo circa due mesi che non ci vedevamo. Cercai come al solito di prenderla con le buone
    “ D’accordo, Diana. Finisco il lavoro e vengo da te”
    “ Forse non hai capito. Ti voglio subito qui. Ti voglio come testimone in modo che poi, appena ho ammazzato il porco, tu potrai dire alla giuria che avevo le mie ragioni”
    “ Ma di cosa stai parlando? Stai calma, Diana”
    “ No, non sto calma. Ho bisogno di te subito. Che cazzo di amico sei?”
    “ Ma come che amico sono? Sono sempre stato al tuo fianco ogni volta che me ne hai avuto bisogno”
    “ E adesso ho bisogno di te. Vieni qui altrimenti vengo io nel tuo ufficio di merda e ti trascino con la forza. Pensi che non ne sia capace?” Ne era capace, eccome
    “ Va bene Diana. Vedro’ cosa posso fare”
    “ Forse non hai capito. Non devi vedere cosa puoi fare, devi venire immediatamente a casa mia” Non ebbi il tempo di replicare in quanto Diana termino’ la conversazione. Guardai l’orologio. Mancavano pochi minuti alle tredici e fra poco sarei stato in pausa. No, l’ora di pausa non mi sarebbe bastata. Diana abitava alla periferia della citta’, nella zona dei ricchi, nella splendida villa che il suo ricco marito possedeva e ci sarebbe voluta oltre mezz’ora per poterci arrivare. No, avevo bisogno di un permesso, accidenti a lei e a me che l’amavo. Entrai nell’ufficio del direttore proprio quando questi stava per uscire. Lui la pausa se la prendeva alcuni minuti prima
    “ Che c’e’ Liberati?” m’interrogo’ appena mi vide sulla porta
    “ Dottore, ho bisogno di uscire prima. Una mia amica ha avuto un incidente” mentii
    “ E’ grave?”
    “ No, non credo ma ha chiesto espressamente di me” Mi squadro’ da capo a piedi. Sapeva che ero un ottimo impiegato e pur se era uno stronzo patentato dovette acconsentire
    “ Va bene, Liberati. Ma che non diventi un’abitudine”
    “ No di certo, dottore. E’ la prima volta in otto anni che chiedo un permesso”
    “ Mi faccia sapere della sua amica”
    “ Non manchero’. Grazie” Uscii di corsa e mi catapultai nella mia macchina. Cosa diavolo era accaduto a Diana? Voleva ammazzare il porco? E per porco intendeva suo marito? E cosa aveva fatto quest’ultimo di tanto grave? Avevo la netta sensazione che mi stavo mettendo in un grosso guaio ma non potevo certo immaginare di cosa si trattasse. Tutta colpa dell’amore che nutrivo per lei. Ma perche’ ne ero cosi’ innamorato? Beh, certo bella lo era davvero, Diana. Il suo corpo era veramente notevole, a cominciare dall’altezza, ben 180 centimetri distribuiti perfettamente, due tette notevoli e un culo da incorniciare, il tutto forse frutto dei suoi allenamenti quotidiani ma madre natura era stata molto generosa con lei. Aveva anche un bel viso con lineamenti regolari, occhi azzurri e capelli biondi che di solito portava a caschetto con una femminile frangia che copriva la fronte. Ma per il resto? Un carattere odioso e impossibile che solo io e il porco, ovvero suo marito Alberto, riuscivamo a sopportare. Gia’, suo marito. Mi ero sempre chiesto perche’ lui l’avesse sposata. E’ vero, come ho appena detto, Diana era molto bella ma era una bellezza che proprio non vedevo accanto ad Alberto, con il suo trucco sempre troppo pronunciato, i suoi modi ruvidi e spicci, il suo eloquio che spesso sfociava nella volgarita’ se non proprio nel turpiloquio e il suo abbigliamento sempre sopra le righe, fatto per essere guardata e concupita. Ammirata, certo, ma anche criticata, almeno in quell’ambiente di ricchi snob con la puzza sotto il naso mentre a me faceva un gran bell’effetto, inutile negarlo. Ma Alberto era pero’ abituato alle donne belle. Non che fosse particolarmente attraente anche se un certo fascino lo possedeva, ma lui proveniva da una delle piu’ influenti famiglie della citta’, con un patrimonio che veniva stimato in svariati milioni di euro e aveva avuto al suo fianco ragazze da urlo: modelle, show-girls, attricette, tutte passate per il suo letto. E poi, incontrata Diana, la sposa dopo soli sei mesi e ne fa una delle ragazze piu’ invidiate della citta’. No, niente rotocalchi. La fama di Alberto non arrivava fino a questo punto e la sua era una ricchezza che evitava gossip e certe situazioni sopra le righe ma rimaneva comunque la stranezza di quell’unione, con Diana che era invece una ragazza proveniente dal popolo, niente affatto abbiente. I suoi genitori erano gente semplice ai quali non mancava certo il cibo sul tavolo ma che arrivavano con una certa fatica alla fine del mese. E poi quell’incontro, con Alberto che perse completamente la testa per Diana e con la mia amica che quasi sicuramente non ne era innamorata ma che fu ovviamente conquistata da tutto cio’ che rappresentava un uomo del genere, malgrado la differenza di eta’ piuttosto considerevole. Diana aveva infatti appena compiuto trent’anni mentre suo marito veleggiava verso i 45. Ma le differenze tra di loro erano veramente tante e proseguivano anche in altri ambiti. Alberto aveva gusti raffinati, gli piaceva l’arte, il cinema d’autore e amava giocare a golf mentre Diana non avrebbe saputo distinguere un Picasso da un graffito fatto su una grotta ed i suoi hobby si limitavano allo shopping, alla palestra e a postare le sue foto su facebook raccontando, tra l’invidia delle sue vecchie amiche, la sua nuova vita da ricca. E vogliamo parlare dell’istruzione? Alberto con due lauree e Diana che aveva preso a fatica il diploma e una laurea breve completamente inutile? Oh, intendiamoci, Diana era tutt’altro che stupida. Era intelligente, svelta, furba e maliziosa, tutte doti prese in strada, a contatto con la gente e non sui banchi di scuola. Eppure, Alberto pareva proprio innamorato e sembrava che a nulla contassero quelle diversita’ e seppi che non fu facile per lui costringere i suoi genitori ad accettare quella ragazza cosi’ diversa da quella che sognavano di vedere al suo fianco. Ed io? Perche’ anch’io ne ero cosi’ pazzamente innamorato da accorrere prontamente ad ogni suo richiamo? In quel momento non ne avevo la minima idea. Che la trovassi bellissima, l’ho gia’ sostenuto, che la desiderassi praticamente da una vita, era abbastanza ovvio, ma non era solo questo. Io mi trovavo bene con lei. Mi ci ero sempre trovato a mio agio, anche quando ingoiavo bocconi amari quando si metteva con un ragazzo per lasciarlo subito dopo a causa della sua volubilita’ o quando mi raccontava i suoi segreti, le sue notti di sesso e le sue sensazioni. Accidentaccio a lei! Mi aveva rovinato la vita. Ero arrivato a 32 anni e ancora sbavavo per lei, pronto ad accorrere al suo richiamo non appena lei mi avesse chiamato. Oh si, qualche avventura ce l’avevo avuta anch’io ma non ero mai riuscito ad innamorarmi di un’altra ed a sentire quei fremiti che invece percepivo non appena mi trovavo dinanzi a lei, lei con quelle gonne troppo corte che mandavano in tilt il mio testosterone, lei con quella bocca sempre troppo rossa che mi faceva sognare di baciarla, lei con quello strano gesticolare, lei con la sua perenne voglia di parlare di quanto fosse brava e forte e di come nessun uomo al suo cospetto avesse una chance di poterla sconfiggere, lei che metteva in mostra il suo corpo senza remore, quel corpo atletico, potente ma estremamente femminile e sensuale che faceva sbavare me e ogni uomo che posava gli occhi su di esso. Ed era ovvio che, conosciuta una ragazza, dopo facevo i paragoni con Diana e nessuna ragazza, di sicuro non certo quelle che io potevo conoscere, sarebbe potuta risultare vincente da quei paragoni.
    Ripensavo a tutto questo mentre spingevo il piede sull’acceleratore per arrivare il piu’ presto possibile. A parte tutte le considerazioni che avevo fatto, il suo tono era stato veramente particolare. Quando aveva nominato il <porco> non era allarmata piu’ di tanto. Mi sembrava piuttosto incazzata come un bisonte e Diana incazzata era molto pericolosa. L’aveva tradita? Possibile, con tutte quelle belle donne che aveva avuto in passato, alcune delle quali ancora desiderose di stare con lui. Si, possibile ma non mi sembrava realistico. Alberto conosceva perfettamente le potenzialita’ di sua moglie e conosceva altrettanto bene il suo carattere poco disposto alla conciliazione. Se veramente l’avesse tradita aveva firmato la sua condanna e nemmeno io sarei riuscito a calmare Diana. Forse non una condanna a morte ma sicuramente avrebbe avuto il lasciapassare per una lunga permanenza in ospedale, con tutti gli annessi e connessi. Senza contare il fatto che Alberto mi era sempre sembrato profondamente innamorato di sua moglie. E allora cosa mai aveva potuto fare di tanto grave? Lo avrei saputo tra poco perche’ nel frattempo ero finalmente arrivato. E sinceramente, non vedevo l’ora di dar luce a quel mistero.</porco></ciao></sei></quasi>

  • Schiavolc

    Member
    Settembre 3, 2021 at 4:38 pm in reply to: Mi presento

    Benvenuta @Miss_katery